Una delle conseguenze del distanziamento imposto dalla pandemia di Covid-19 è stata l’acutizzarsi delle difficoltà relazionali, soprattutto fra i giovani. “Talvolta si chiudono in un mutismo ostinato, quando non addirittura nella propria cameretta (non importa se reale o virtuale), ma hanno paura del silenzio e lo rifuggono riempiendo le loro ore di suoni spesso assordanti. Non riescono a trovare le parole per uscire dalla propria bolla”. E, quando si esprimono, lo fanno per lo più con un linguaggio approssimativo, tanto povero di termini quanto ricco di iperboli (preferibilmente negative…). Del resto, perché mai le loro espressioni dovrebbero essere accurate se non lo sono nemmeno quelle della maggior parte degli adulti? E perché, soprattutto, curare la comunicazione se non si ha la certezza di essere ascoltati?



Per me, insegnante di scuola superiore, e una mia collega (semiologa ex insegnante di lettere) le domande si sono fatte incalzanti: come aiutare i ragazzi a capire che la comunicazione sta alla base del rapporto stesso con gli altri e con le cose? Che trovare le parole giuste per esprimersi evita di incorrere in pericolosi fraintendimenti, ponendo i presupposti per un dialogo costruttivo e per un intervento responsabile sulla realtà?



Basandoci sulla nostra lunga esperienza di insegnamento, abbiamo accolto la provocazione ideando un percorso scandito in quattro tappe: ascolto, comprensione, sintesi, argomentazione. Ne è nato un libro un po’ anomalo: Dai fondamenti … un percorso. Quattro passi nella comunicazione, di P. Beraud, M. Geuna (Bonomo, 2024), un testo che non è una grammatica né un’antologia, ma affiancato alla lettura di opere integrali debitamente scelte può integrare o sostituire i manuali tradizionali della scuola secondaria e della formazione professionale.

L’ascolto: una delle abilità di base, esplicitamente contemplato dalle Indicazioni nazionali, ma poco presente sui manuali scolastici che lo trattano per lo più di sfuggita. Abbiamo ribaltato il punto di vista, ad esempio presentando il “silenzio” non come il monito dell’insegnante che non ottiene l’attenzione desiderata, ma come dimensione di accoglienza e di stupore in cui si è tesi a percepire tutti i dati di realtà. Questo perché ci siamo accorte che i ragazzi faticano a leggere le proprie esigenze, i propri bisogni, le proprie propensioni.



Evidentemente, però, non è sufficiente ascoltare: occorre anche comprendere, secondo le modalità che la tipologia di comunicazione richiede. Anche la comprensione, quindi, intesa non tanto come un dovere, quanto piuttosto come una necessità, un bisogno del soggetto. Questa parte del percorso è quella a cui abbiamo dato più spazio, proponendo brani di genere molto vario, curati nella forma e significativi nel contenuto.

E poiché, come ci ricorda l’etimologia del verbo “comprendere”, non è davvero compreso ciò che non diventa nostro, quello cioè che non sappiamo ridire o riscrivere, ci siamo occupate della capacità di sintesi, che risulta fondamentale nello studio, nelle mille incombenze quotidiane e nella vita professionale. Anche in questo caso abbiamo proposto attività ed esercizi nati dall’esperienza d’aula e testati dai nostri allievi. Soprattutto abbiamo tentato di incrementare la capacità di individuare e gerarchizzare i nuclei informativi, competenza essenziale in una società in cui la bulimia della comunicazione massmediale tende ad appiattire le informazioni livellando la pregnanza dei contenuti.

Posti di fronte a un testo, non tutti sono in grado di riportarne con chiarezza il messaggio centrale, il che, evidentemente, compromette la possibilità di validare o meno le informazioni acquisite.

Siamo così giunte all’ultima parte del nostro percorso: l’esigenza di giudicare ciò che si è ascoltato, capito, rielaborato. Solo attraverso il giudizio, quindi attraverso l’argomentazione, un dato di realtà diventa davvero nostro e perciò condivisibile. Sostenere con ragioni adeguate il proprio parere è un bisogno molto sentito e tuttavia spesso censurato dai ragazzi, che scelgono di omologarsi alla mentalità corrente per non essere emarginati. Ma in agguato, dietro questa censura, c’è la frantumazione dell’io: giudicare è importante per essere, per consistere, per formarsi una personalità che non rischi di esplodere in gesti inconsulti, come purtroppo ci documentano tanti episodi di cronaca.

A ben guardare la scuola può diventare il luogo privilegiato dove acquisire uno stile “argomentativo”, se l’insegnante per primo si mette in gioco esplicitando sempre le ragioni del proprio operare, cioè delle scelte didattiche, dei metodi e dei criteri di valutazione… in definitiva del proprio essere un educatore.

Il disagio che tanti ragazzi non riescono a comunicare, il loro urlo silenzioso nasconde soprattutto una richiesta di senso. Consapevoli di questa urgenza auspichiamo che anche dalle pagine del nostro libro, dai brani scelti e dai contenuti proposti, i giovani, accompagnati dai loro educatori, possano ricavare un’ipotesi di senso per la propria vita.

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