Siamo a metà maggio e la primavera non è ancora arrivata. Anzi la mia città, che non ha mai sofferto di sconsiderati sbalzi climatici, è spezzata in due, investita com’è da un inverno di ritorno e da nubifragi che hanno fatto straripare il fiume, costringendo le autorità a chiudere i ponti e il sindaco le scuole di ogni ordine e grado. Sembra che più niente sia certo, ma una cosa in realtà rimane fissa: anche quest’anno, inesorabili come un’inondazione, accanite come le tempeste, le prove Invalsi sono piovute sulla scuola. E quest’anno più che mai gli insegnanti, rassegnati e fatalisti come gli indù al cospetto dei monsoni, le hanno accettate, propinate, tabulate discutendone meno del solito, arrabbiandosi quasi nulla, remissivi più che mai e con una indifferenza crescente e forse sana. Tanto, si sa, piove sui buoni e sui cattivi.



Anche il corredo di scioperi che, dalle sigle sindacali nazionali a quelle più bislacche e improbabili – ma utili all’occorrenza – accompagnava sempre i giorni della somministrazione delle prove Invalsi, quest’anno quasi non s’è visto. Tanto ormai.

Ancora una volta, dunque, bambini e ragazzi sono stati più o meno pre-ordinati ad affrontare l’Invalsi con eserciziari ad hoc, di cui ormai c’è dovizia nei libri di testo. Qualche famiglia si sarà preoccupata, laddove qualcuno non ha ancora spiegato a costoro che l’Invalsi non valuta i bambini, ma gli insegnanti, cosa che invece vale per le medie e le superiori, dove all’opposto l’ansia delle famiglie crolla e cresce quella degli studenti; ma, anche qui, sempre meno.



I più sembrano aver capito. Così come devono aver capito gli esperti dell’Istituto nazionale di valutazione che, almeno a livello di scuola primaria, hanno proposto esercizi più semplici del passato, forse prendendo atto che anni e anni di somministrazione e tabulazione di dati non hanno migliorato di un millesimo il servizio scolastico. Perché questo è il punto: per continuare ad usare la metafora meteorologica, anche quest’anno arriverà a Roma un’inondazione di dati, di valutazioni, di esercizi corretti e tabulati; si farà poi un rendiconto della situazione generale, una specie di sondaggione della scuola a cui tutti, ma proprio tutti, partecipano per legge. Sapremo, suppongo con accettabile precisione, a che punto siamo con l’apprendimento dell’italiano, della matematica e dell’inglese, ché di questo e nient’altro si tratta, almeno a vedere i parametri, fatti di quiz, giochini numerici e linguistici, crocette, A B C e quant’altro approntato dai capoccioni dell’Invalsi. Sapremo se insegniamo bene, benino, malino o male, se uno zero virgola meglio o peggio… e poi?



E poi niente. Non arriverà un soldo in più nel caso si scoprissero carenze da qualche parte, né formazione migliore, né organico maggiore. Niente di niente, ripeto. Avremo la foto di gruppo e noi la metteremo in un album in cantina, finché la prossima alluvione, cioè un cambio di governo, non farà marcire tutta quella carta.

Rimarrà costante l’impressione di lontananza della dirigenza della scuola rispetto alla realtà quotidiana della stessa. L’esempio eclatante è l’ultima sedicente riforma, sbandierata recentemente sugli organi di informazione: la presunta reintroduzione dell’educazione civica. Un’ora settimanale di questa materia, che dovrà poi avere una programmazione, valutazioni regolari sul registro e un voto in pagella, già a partire dalla primaria.

La cosa esilarante è che per fare tutto questo non è stata data nessuna ora in più, nessun insegnante, nessun centesimo di finanziamento. A tutt’oggi non si capisce bene neppure chi dovrebbe insegnarla. Si tratta del tipico caso di nozze fatte con i fichi secchi, anzi togliendo qualcosa al resto, perché da qualche parte si farà un’ora in meno di italiano, di storia, di matematica o inglese, solo il cielo lo sa. Continua cioè un refrain segreto e sottinteso che dura da anni, ovvero che alla fine le materie che siamo abituati a considerare classiche e con investimento orario maggiore non contino un fico secco (a proposito). Salvo poi scandalizzarsi del fatto che questi ragazzi arrivino all’università senza conoscere l’ortografia o le tabelline.

Ma la distanza della testa dal resto del corpo è sottolineata dalla ragione per cui si è spinto per reintrodurre l’educazione civica come materia: è infatti una reazione, molto affrettata e astratta, alla grave situazione educativa dei nostri ragazzi, al moltiplicarsi di episodi di bullismo, di vandalismo, di razzismo nelle scuole, di incapacità di ascolto degli insegnanti verso cui crescono episodi di violenza, e un corredo di atteggiamenti e aggressività che se definiamo maleducazione facciamo solo la figura degli ingenui. Di fronte a questo, è chiaro che opporre la lettura e lo studio di qualche articolo della Costituzione, la cui conoscenza è pur sacrosanta, o qualche principio di ecologia o mondialismo fa ridere i polli. Meglio sarebbe a questo punto obbligare i genitori a un’ora di educazione civica, come ho letto in un arguto articolo pubblicato su un periodico dedicato alla professione scolastica. Tanto il problema nasce da lì.