I recenti eventi che hanno sconvolto il mondo, dalla guerra in Ucraina a quella in Medio Oriente, unitamente al fenomeno delle imponenti migrazioni di gruppi umani dalle periferie verso le regioni del globo più ricche e urbanizzate, hanno sollevato inquietudine e interrogativi nei ragazzi più attenti e sensibili che vorrebbero dai loro insegnanti spiegazioni e orientamenti. La scuola italiana non sempre si trova preparata ad affrontare simili evenienze, ancorata com’è a certe procedure (i cosiddetti programmi, i tempi talvolta risicati da dedicare al dialogo sull’attualità, i ritmi delle lezioni difficili da scalfire). E così il luogo preposto per definizione ad avviare un confronto con la realtà, attraverso la didattica che le circolari ministeriali vorrebbero sempre più “orientativa”, rischia di essere avulso dalle situazioni di maggiore impatto mediatico.



Si devono tuttavia registrare anche importanti novità nell’affidamento ai docenti di compiti di tutoraggio, che possono essere svolti proprio per fare crescere negli alunni conoscenze e competenze relative alle questioni in cui si dibatte il mondo contemporaneo. Insomma sembra possibile anche una certa “destrutturazione” degli schemi e una maggiore prossimità, sempre in chiave di giudizio critico, ai fatti che scorrono di fronte ai nostri occhi e che dovrebbero essere sottratti al dominio imperante dei social e talvolta delle fake news per essere restituiti, per quanto possibile, alla riflessione documentata. È possibile, insomma, fare dell’attualità, a determinate condizioni, l’oggetto di un intervento didattico. Ma come e avvalendosi di quali competenze?



Ne parliamo con Mario Mauro, ex ministro della Difesa e attualmente presidente del Centro per gli studi internazionali Meseuro, anche in vista di un incontro dedicato al tema dell’insegnamento a scuola oggi, tra memoria del passato e geopolitica, che avrà luogo a Roma, il 6 dicembre, nell’ambito della “Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria”.

Anzitutto una domanda che entra nella specificità dei suoi attuali campi di ricerca. Qual è a suo giudizio la definizione più corretta di “geopolitica” e quali sono i campi del sapere di cui un orizzonte geopolitico deve tenere conto?



La geopolitica analizza conflitti di potere in spazi determinati. Per questo incrocia nel suo ragionamento competenze e discipline diverse: dalla storia alla geografia, dall’antropologia all’economia e altre ancora. Non è scienza: non possiede leggi, non dispone di facoltà predittive. È studio di casi specifici, per i quali è necessario il confronto fra le diverse rappresentazioni dei soggetti in competizione per un dato territorio, su varie scale e in differenti contesti temporali, e fra i rispettivi progetti, tutti ugualmente legittimi. Per ciò stesso, il ragionamento geopolitico è dinamico, perché si svolge nello spaziotempo, e nient’affatto limitato alle guerre ma estendibile a dispute politico-amministrative. Ad esempio: come disegnare un collegio elettorale, a quale Regione debba appartenere un Comune, quale giurisdizione spaziale debbano avere certi tribunali, come disegnare una diocesi.

Quali sono secondo lei i grandi cambiamenti di ordine geopolitico che si sono verificati sulla scena globale negli ultimi tempi? 

La guerra russo-ucraina ha caratteristiche peculiari rispetto agli altri conflitti in corso. Putin vuole “nuovamente” Yalta, chiede cioè di recuperare lo spazio di influenza che l’Unione Sovietica deteneva dopo gli accordi che hanno definito gli equilibri all’indomani della Seconda guerra mondiale. Per ottenere questo ha bisogno dell’Ucraina. Il politologo Brzezinsky – consigliere di molti presidenti americani – era solito dire: “senza l’Ucraina la Federazione Russa è una importante potenza ma asiatica, con l’Ucraina torna ad essere un player globale”. L’Ucraina ha dovizia di materie prime ma non è solo un ricco bottino. Conta soprattutto la sua posizione strategica. Cina, India ed altri Paesi, pur dubbiosi sulla legittimità dell’aggressione russa, spalleggiano Mosca perché puntano ad una nuova Yalta, cioè ad un accordo che riconosca il loro ruolo e determini nuovi equilibri capaci di collocare due Paesi che non sono solo grandi economie ma anche potenze militari e realtà demografiche straordinarie.

L’espressione spesso utilizzata da papa Francesco (“non siamo in un’epoca di cambiamento ma in un cambiamento d’epoca”) riguarda anche la geopolitica?

La Santa Sede da tempo per bocca di Papa Francesco parla di “terza guerra mondiale a pezzi”, consapevole del fatto che la lotta tra potenze occidentali radunate nelle alleanze NATO ed AUKUS e gli altri grandi del mondo è destinata a produrre situazioni difficilmente gestibili su scala globale. L’Ucraina e il suo martirio sono oggi il crocevia di queste contraddizioni ancor più di quanto non lo sia stato ieri il dramma della Siria. La pace in questo senso non può essere semplicemente la media degli interessi in gioco, ma l’affermazione di un principio onnicomprensivo, venendo meno il quale anche per uno solo viene meno per tutti. La comunità internazionale quindi non deve negoziare beni indisponibili come i territori ucraini, ma negoziare con i russi e gli altri protagonisti dello scenario globale le condizioni di una nuova stabilità. Dicendo con chiarezza a Mosca che se pensa di ottenerle con la forza avrà di fronte un muro. Non solo. Occorre riconoscere che il 2023 non può più dipendere da uno schema geopolitico ormai consunto, ma necessita di profonde riforme come quella delle Nazioni Unite, del WTO, di una economia gestita nel segno del dollaro. Con lo scopo di contenere lo scontro tra autarchie e democrazie. Del resto anche la stessa Unione Europea è fuori dallo schema di Yalta e rappresenta il più clamoroso dei superamenti di quello schema, se pensiamo che mette insieme in un progetto politico comune – caso unico al mondo – potenze vincitrici e potenze sconfitte. Per cui sì, l’espressione di Papa Francesco riguarda anche la geopolitica.

La geopolitica può essere considerata, nelle dovute proporzioni, una disciplina scolastica o, meglio, un interesse che unendo la storia alla geografia possa essere sviluppato, magari nelle ore di orientamento curricolare o extracurricolare, anche nella scuola superiore?

Non direi, perché non è la semplice unione delle dinamiche storiche e geografiche, è molto di più. Rimane una materia che va studiata assieme ad altre (sociologia, economia, diritto, storia) in università, perché queste altre ti permettono di comprendere al meglio le dinamiche geopolitiche. È giusto che a scuola vengano fornite delle basi storiche, ma per capire il presente bisogna portare avanti studi che ti permettano una visione a 360 gradi di una determinata dinamica, cosa che spetta al mondo accademico ed a specifici corsi di laurea, grazie ai quali i giovani si specializzano in un particolare ambito.

Che cosa consiglierebbe ai giovani che cominciano a maturare una passione per l’universo delle relazioni internazionali? Quali letture, quali testimonianze, quali attenzioni di più meritano di essere coltivate per giungere a un più consapevole inquadramento dei contesti odierni?

Consiglio di andare oltre lo studio “classico” e “canonico” delle materie scolastiche, ed iniziare ad esplorare il mondo fuori. Vi sono tanti eventi organizzati da centri studi, think tank, che mettono a fuoco i fatti e le dinamiche geopolitiche che accadono nella quotidianità. Inoltre, questo genere di istituti produce molto materiale facilmente reperibile e usufruibile gratuitamente; nell’era di internet, l’accesso a un numero così elevato di informazioni e materiali permette ai giovani di arrivare ad avere contenuti didattici che prima era più difficile reperire.

(Fabrizio Foschi)

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