Dai riscontri che raccolgo, a scuola, al termine di ogni laboratorio di lettura ad alta voce emerge un aspetto che inizialmente avevo sottovalutato, etichettandolo come un commento banale, ma che poi, riflettendo, ho compreso essere di notevole importanza: il lessico.
Alessio (nome di fantasia), ad esempio, mi ha scritto: “Mi colpisce il lavoro sul lessico, perché scopro termini che oggi si usano poco, ma studiandoli in classe scopro che hanno un bel significato”, mentre Sara ha detto: “Il laboratorio di lettura mi permette di scoprire molte nuove parole, che arricchiscono il mio vocabolario e rendono la lezione più interessante”. Inizialmente, davo per scontato il significato di molte parole, ma ben presto mi sono resa conto che il nostro lessico si fa sempre più povero e incapace di descrivere la complessità della nostra quotidianità.
Ho deciso di ripartire proprio da lì, aggiungendo giorno dopo giorno piccoli mattoni, e confrontandomi animatamente con loro sull’importanza di un vocabolario ricco. Poi, come sempre, sono proprio i più recalcitranti ad abolire le parole “roba” e “essendo che” a sorprendermi: un giorno, durante l’intervallo, mentre finalmente sto sorbendo il meritato caffè prima della lezione successiva, sento in cortile un gruppo che simula una specie di lotta nel fango e uno di loro esclama: “Guarda, hai i piedi tutti impillaccherati come Pinocchio!”. Il mio cuore ha fatto un salto, tanto che per poco non mi è andato di traverso il mio prezioso caffè.
Ancora Pinocchio ha ispirato la riflessione di Monica, che ha scritto: “Grazie alla discussione che segue la lettura, ho la possibilità di approfondire argomenti che spesso vengono trattati in modo superficiale. Questo apre anche un confronto spontaneo con i compagni e con la professoressa, un incontro che è un miscuglio di serietà e leggerezza. Ma la parte che preferisco di più è ciò che accade dopo il laboratorio: le emozioni che emergono nel pomeriggio, quando ripensi al capitolo letto insieme la mattina, o quando ti sorprendi a vivere le stesse esperienze dei personaggi appena incontrati”.
La ringrazio profondamente per questo pensiero, poiché ogni volta, al termine di ogni lezione, mi trovo a farmi la stessa domanda inutile: servirà davvero a qualcosa ciò che sto facendo?
Perché, da brava insegnante, cado nella trappola del risultato immediato, ma ormai dovrei sapere che i semi piantati impiegano a volte anni per germogliare, e non tutti riescono a farlo, oppure alcuni fioriscono quando meno te lo aspetti; come Dario, un ex allievo che mi ha cercata su Instagram per ringraziarmi di aver insistito tanto, a scuola, sulla lettura e scrittura, perché ora sta iniziando a prenderci gusto nell’allenarsi e mi ha chiesto se può inviarmi la lettera che ha scritto per il compleanno della fidanzata, ringraziandomi per i contenuti che è riuscito a inserire.
A quel punto, la mia curiosità è diventata incontenibile, e ho chiesto chiarimenti sui contenuti, in attesa dell’originale, e lui mi ha risposto: “Prof, se Paolo e Francesca sono riusciti ad amarsi così tanto anche nelle difficoltà dell’Inferno, allora ho pensato che ispirandomi a loro e dicendo qualcosa di simile a Mina, magari anche noi possiamo sperare di vivere lo stesso amore”.
E sempre l’amore corre su due piani diversi: al piano dell’informatica, c’è Renzo, che mi chiede il testo della fiaba di Andersen L’uomo di neve che avevo letto a Natale. Mi dice che vuole regalarlo a Elda, poiché quella storia esprime perfettamente ciò che vorrebbe dirle e cioè che la ama come se fossero uno parte dell’altra, e la fiaba che ha appena ascoltato traduce in parole ciò che sente nel cuore. Immediatamente sopra, al piano della grafica, c’è proprio Elda, che, in una verifica sul Paradiso di Dante, lascia come commento finale a un lavoro durato due anni: “Sono rimasta incantata dalla bellezza della Divina Commedia.
Ho avuto modo di riflettere, ho reso concreti pensieri che prima erano confusi e senza peso. Ritengo che Dante abbia descritto l’amore con tale bellezza, da donare speranza e il desiderio di poter amare come lui. Inoltre, l’immagine del sorriso di Beatrice, che per Dante rappresentava conforto, mi fa comprendere quanto sia importante, nella vita, amare ed essere amati”.
Poi, mentre mi consegna la verifica, con gli occhi brillanti, mi chiede se posso inviarle la terzina che ho letto in classe, in cui Beatrice guarda Dante con occhi pieni di scintille d’amore, perché vuole scriverla nel biglietto di Natale per Renzo!
Senza dubbio, la Divina Commedia è la lettura che scuote maggiormente gli animi, sia in senso positivo che negativo. Lo scorso anno per diverse settimane Simone entrava a scuola con l’espressione cupa. Dopo un po’ gli ho chiesto spiegazioni e lui, tutto risentito, mi ha confessato di essere arrabbiato con Dante.
Mi sono dovuta trattenere, perché un po’ mi scappava da ridere, ma ho voluto comprendere meglio, poiché era evidente che la sua arrabbiatura era reale: non esiste che un ragazzo provi rabbia durante le mie lezioni, per di più contro Dante in persona.
Così ho scoperto che la lettura della Commedia aveva sollevato troppe domande dentro di lui, domande che non era più abituato a farsi, alcune molto scomode, altre che non si era posto da tempo e che non riusciva più a rinchiudere nel cassetto dove le aveva messe. Ho preso molto sul serio il suo stato d’animo, e nelle lezioni successive mi sono preoccupata di fargli compagnia, mentre lentamente ha imparato a fare pace con Dante e a convivere con le domande scomode.
Anche John mi ha confidato che la lettura ad alta voce non gli piace, perché non vuole aprirsi, perché così facendo si percepisce più vulnerabile e fragile. Posso comprendere la sua posizione e la condivido; infatti, i ragazzi scelgono sempre se e cosa condividere con me e con i loro compagni.
Tuttavia, è proprio John che cambia le carte in tavola, poiché, nella lezione successiva, condivide un racconto commovente che aveva scritto per narrare un’esperienza in cui si era sentito smarrito, come Dante nella selva oscura, e di come fosse riuscito ad uscire dalla difficile situazione. Mi sono permessa di chiedergli cosa lo avesse spinto a condividere questo scritto, dato che si era anche commosso mentre lo leggeva, e lui mi ha risposto semplicemente: “Perché non mi sento più solo con voi”.
Questi fatti che accadono durante il laboratorio di lettura sono regali. La sintesi è bene che la faccia Daniela: “Quando la prof. inizia a leggere è come se iniziassimo a camminare tutti insieme e quello che succede a Dante coinvolge anche noi, come se diventasse un nostro compagno”.
(2 – fine)
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