Qualche settimana fa sono stati pubblicati i dati Invalsi 2023 relativi alle prove svolte nella primavera di quest’anno. Il quadro che emerge non è molto diverso da quello degli anni scorsi, ma con alcuni elementi di ulteriore preoccupazione, in particolare per la scuola primaria in cui si osservano indicazioni di arretramento negli apprendimenti di base.
Al di là dei risultati, dei quali si è discusso e che si dovranno esaminare con molta attenzione nel prossimo futuro, pare opportuno allargare lo sguardo e proporre alcune riflessioni più generali e di fondo.
Le rilevazioni Invalsi, ma in realtà anche altre ricerche e indagini, restituiscono informazioni sulla quali è necessario riflettere a tutto tondo. È importante discutere dei problemi della scuola in modo franco e aperto, nella piena consapevolezza che non esistono soluzioni semplici e immediate, ma che, allo stesso tempo, serve un esercizio di concretezza e umiltà per affrontare problemi, contraddizioni e conflitti, senza negarli sulla scorta di convinzioni ideologiche.
Come puntualmente accade tutti gli anni, dopo poco tempo dalla pubblicazione dei risultati Invalsi sono stati resi noti gli esiti degli esami di Stato, con le solite discrepanze, soprattutto a livello territoriale. Buona parte della discussione che ne è seguita troverebbe una facilissima e chiara risposta consultando, per esempio, i dati di Almalaurea. Chiunque li volesse leggere con un minimo di attenzione si renderebbe conto della gravità del problema e delle sue implicazioni educative e sociali. Basterebbe leggere il dibattito di questi giorni sui principali quotidiani del Regno Unito dove si è deciso di ritornare a standard valutativi (sempre esterni) più rigorosi dopo due anni resi eccezionali dal post pandemia. La differenza delle argomentazioni colpisce e forse spiega tanti dei nostri problemi.
È evidente la necessità di trovare un terreno comune per fare chiarezza su problemi che vanno sempre più sovrapponendosi. Da un lato si pone la questione della persistenza, francamente non accettabile, della povertà educativa. Dall’altro si pone l’altrettanto importante problema della qualità (in calo) degli apprendimenti, liquidando come laudator temporis acti chiunque lanci il grido di allarme, ignorando le conseguenze drammatiche di un facilismo incontrollato ed estremante pericoloso.
Ancora. A distanza di tanti anni e di tanti sforzi, la scuola di tutti Paesi avanzati fatica a ridurre in misura apprezzabile il peso del contesto di provenienza che, talvolta, assume quasi le caratteristiche della predeterminazione dei risultati. Forse è giunto il momento di chiedersi quale siano le determinanti sulle quali la scuola e la società non stanno intervenendo. Probabilmente la promozione delle competenze non strettamente disciplinari, complementari e mai sostitutive di quelle tradizionalmente sviluppate dalla scuola, possono rappresentare un campo di azione molto promettente e importante. Ma per andare seriamente in questa direzione serve un confronto serio, concreto, lungimirante sul disegno educativo che la collettività si vuole dare per i prossimi decenni.
I dati ci dicono chiaramente che molti dei problemi che oggi riscontriamo sono il frutto di non-scelte o di scelte lasciate alla composizione di forze che agiscono in modo più o meno consapevole nell’implicito di intenzioni, mai sottoposte alla loro verifica empirica. È sempre più evidente la necessità di una profonda riflessione pedagogica e culturale sulla scuola che si vuole per i prossimi anni. Anche attraverso i dati è possibile trovare un punto d’incontro su cosa si debba intendere per competenze di base per tutti e per ciascuno, percorrendo la strada coraggiosa della concretezza e dell’individuazione delle differenze che vanno certamente accolte, ma non negate.
Le grandi sfide poste dall’innovazione possono rappresentare un’opportunità straordinaria di sviluppo, ma serve un abito mentale serio che veda un dialogo continuo tra la formulazione di idee per la scuola e la loro puntuale verifica. È necessario partire dal fatto che il superamento dei problemi della scuola non è solo compito delle istituzioni che la governano, ma richiede anche azioni quotidiane di competenza di tutti, di chi la scuola la fa ogni giorno, delle famiglie, della ricerca, di chi si occupa di valutazione. Insomma, di tutti, nessuno escluso.
Anche attraverso i dati e le misurazioni standardizzate è necessario trovare soluzioni ampie, condivise, rinunciando al facile gioco del benaltrismo o del pensare che i problemi derivino solo dal contesto esterno. Certamente il peso di quest’ultimo è molto importante, spesso quasi determinante, ma ciò non toglie che vi siano ampi spazi di manovra che invece riguardano come riteniamo si debba concretamente fare scuola nel quotidiano. Un cambio di passo in questa direzione è importante, complesso, ma possibile e necessario.
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