Non sono trascorsi molti giorni da quando l’Invalsi, nella consueta conferenza stampa, ha presentato il Rapporto nazionale 2021, per illustrare i più significativi risultati delle rilevazioni nazionali, dopo l’interruzione del 2020 dovuta alla pandemia.
La notizia è stata ampiamente coperta dagli organi di stampa, che non hanno mancato di soffermarsi sui risultati negativi, a dimostrare, qualora ce ne fosse bisogno, l’impatto disastroso del Covid-19 e della didattica a distanza sugli apprendimenti degli studenti e sul regolare svolgimento dell’anno scolastico.
In linea di massima, da una ricognizione dei vari articoli, emerge un’impostazione generale che tende a ricondurre le criticità descritte, tutte, alla situazione di emergenza e alla didattica a distanza.
Si delinea, invece, un quadro più complesso e problematico e, per alcuni aspetti, contro-intuitivo. Si rende dunque necessaria una lettura ragionata e articolata dei dati e delle relative analisi che tenga conto, da un lato, della specificità del momento presente, ma che, dall’altro, non tralasci di considerare le croniche fragilità del sistema scolastico italiano. Soprattutto, non si può ricorrere a facili demonizzazioni della Dad che, se ha contribuito a determinare perdite dell’apprendimento e learning loss, è stata comunque una risposta in grado di supplire all’emergenza, come ha sottolineato la presidente, Anna Maria Ajello.
Cominciamo dalle conclusioni, come sono state esposte in modo, come sempre, chiaro e inequivocabile dal direttore di Snv, Roberto Ricci. Qual è il quadro generale che si delinea? Come ne esce la scuola italiana, dal confronto con il 2019 e il 2018? Quali sono i contenuti che meriterebbero un adeguato approfondimento?
Per quello che riguarda la scuola primaria, gli esiti sono sostanzialmente stabili. Non si nota un peggioramento, anche se permane – in continuità con il passato – la forte differenza tra scuole e tra classi nel Mezzogiorno, rispetto al resto del Paese.
Nella scuola secondaria, il calo degli apprendimenti in italiano e matematica aumenta al crescere dei gradi scolastici. Rimangono sostanzialmente stabili gli esiti di inglese.
Le criticità più gravi riguardano le forti differenze all’interno del sistema scolastico, non solo rispetto ai territori, ma anche in relazione al contesto sociale di provenienza.
Al di là di queste linee generali di interpretazione, l’analisi di Ricci ha evidenziato molti altri aspetti che meritano di essere ripresi.
Per quello che riguarda la scuola primaria, gli esiti riproducono una sostanziale stabilità rispetto alle rilevazioni precedenti, ma non bisogna tralasciare variabili che possono nascondere fenomeni e problemi non ancora emersi.
Per l’italiano i risultati sono buoni sia in II che in V primaria: addirittura si riscontra, rispetto al 2019, un maggior numero di studenti che si collocano nei livelli superiori di risultato.
Anche per la matematica si riproduce una netta stabilità dei risultati medi, sebbene, rispetto agli anni precedenti aumenti il numero degli alunni che si collocano nei livelli più bassi della distribuzione (cioè con competenze più basse). In V primaria si descrive una sensibile diminuzione della media della distribuzione.
Questi risultati mettono, comunque, in evidenza come la scuola primaria abbia resistito positivamente all’impatto del Covid (soprattutto nel confronto con la secondaria, come si vedrà fra poco). Si sarebbe portati a scommettere su una migliore familiarità con la didattica a distanza degli studenti dei gradi scolastici più alti, quando invece emerge una situazione diametralmente opposta.
Perché la scuola primaria ha retto meglio all’impatto della pandemia? Quali sono le caratteristiche che le hanno permesso di far fronte in misura efficace all’emergenza? Senza cedere a facili semplificazioni, si ricorda in primo luogo che la scuola primaria è stata meno interessata da misure di riduzione della didattica in presenza (non lo scorso anno, però); gli alunni di scuola primaria, anche in Dad, sono comunque seguiti dai genitori (ma ciò non vale per la totalità degli alunni, e questo non spiegherebbe i risultati positivi quasi per tutti). Le maestre e i maestri hanno, inoltre, una pratica più consolidata di metodologie didattiche diverse dalla lezione frontale, lavorano normalmente in team (con riunioni settimanali) e sono abituati a farsi carico insieme dei problemi e delle attività scolastiche. Diversa anche la formazione iniziale del corpo docente di scuola primaria: i corsi di laurea in scienze della formazione primaria sono orientati allo sviluppo di competenze non solo di tipo disciplinare, ma anche di tipo metodologico, didattico, psico-pedagogico e organizzativo, con specifici tirocini formativi.
Gli esiti della secondaria di primo grado sono, invece, allarmanti.
Guardando ai risultati medi, si registra la perdita rispettivamente di 4 punti per l’italiano e di 7 punti per la matematica rispetto al 2018. La quota degli studenti che in italiano non raggiunge il livello minimo passa dal 34% del 2018 e del 2019 al 39% del 2021. Per la matematica il calo è ancora più generalizzato, con una quota pari al 45% degli studenti che non raggiunge un livello di accettabilità (nel 2019 erano il 39%); si rileva un aumento dei livelli di competenza più bassi e una diminuzione di quelli più alti.
La valutazione dei dati a livello di macro-aree offre un interessante spunto di riflessione. All’interno della macro-area “Sud” (si tratta delle regioni Abruzzo, Molise, Campania e Puglia) per l’italiano si passa da una percentuale di studenti del 45% al di sotto della soglia nel 2018, al 40% nel 2019, per tornare al 45% nel 2021. Per la matematica i valori sono i seguenti: 54% nel 2018, 48% nel 2019 e 55% nel 2020. Il netto miglioramento registrato due anni fa è stato completamente annullato quest’anno, a dimostrare come i progressi siano sostanzialmente fragili e non basti conseguirli una volta sola perché possano considerarsi acquisizioni solide.
Sia per l’italiano che per la matematica la quota di studenti sotto il livello minimo cresce maggiormente tra gli studenti svantaggiati sul piano sociale, economico e culturale: l’incremento delle quote di studenti in difficoltà si concentra soprattutto tra gli studenti che provengono da famiglie con basso “Escs” (l’indice che descrive il background economico, sociale e culturale delle famiglie). Rispetto agli anni precedenti cala anche la percentuale di studenti “svantaggiati” con esiti migliori. La pandemia ha avuto, dunque, un esito negativo sulla resilienza, cioè sulla capacità della scuola di superare le diseguaglianze socio-economiche degli studenti e sulla sua funzione perequativa.
(1 – continua)
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