I cultori della materia Invalsi concorderanno sul fatto che l’aspetto più significativo della presentazione dei risultati delle prove Invalsi 2023 tenutasi il 12 luglio è stato il ruolo della parte politica. Oltre al messaggio del presidente della Camera, in apertura il ministro Valditara ha dedicato un largo spazio ad una valutazione positiva del ruolo dell’Invalsi ed illustrato quanto, nel quadro del Pnrr, si sta cercando di fare per affrontare quello che da sempre sembra essere il problema principale dei nostri risultati, cioè lo iato fra le due Italie ed i costanti cattivi risultati del Sud, con le opportune distinzioni che più avanti verranno fatte. Anche il governo Draghi con il ministro Bianchi aveva espresso il suo appoggio, ma certamente la collocazione 2023 in Camera dei deputati è un messaggio di prossemica particolarmente eclatante.
Sono dunque lontani i tempi in cui la presentazione veniva effettuata nelle scuole romane di periferia – per stare più vicino alle scuole, era stato detto, con forse un po’ di populismo compensativo – o i tempi dei 5 Stelle al governo in cui l’assenza della politica era forse un bene, visto che una parte significativa del loro consenso veniva, secondo le analisi dell’Istituto Cattaneo, da una certa percentuale degli insegnanti stessi, desiderosi di sbarazzarsi – oltre che di altre cose della “Buona Scuola” – anche delle fastidiose prove Invalsi. Cosa in cui, fra le altre, non sono riusciti.
Cosa si può dire in sintesi? Come nelle altre valutazioni internazionali, i risultati si muovono poco sia all’interno dei Paesi che fra di loro, a meno che non ci sia l’effetto di mutazioni e movimenti che coinvolgono tutta la società, come la spettacolare escalation in Pisa del EastAsia o anche, più in piccolo, la silenziosa risalita dei Paesi arabi. L’effetto-Covid (ma sarà proprio quello?) di abbassamento generale non si è ancora esaurito, si potrebbe dire anche perché la scuola è per sua natura lenta e tendenzialmente conservativa (il che non è necessariamente un male). La matematica è sempre una bestia nera (e qui il genere continua ad avere un ruolo fondamentale), in italiano non siamo così brillanti come pensiamo di essere e l’inglese è la grande consolazione, con i suoi risultati relativamente confortanti. Miracolo? Basta avere figli o nipoti in età per scoprire l’arcano: effetto delle canzoni ed in misura minore delle serie televisive che seguono o canticchiano dalla mattina alla sera.
Nuove ed interessanti le informazioni fornite sulla dispersione esplicita, cioè su chi non consegue il diploma. A parte l’1% dovuto all’emigrazione, i dati ufficiali, anche se su base di stima, ci danno il 10% di spariti e solo il 4% in Istruzione e formazione professionale. Ecco su cosa dovrebbe lavorare l’orientamento, oltre che a spostare un po’ di iscrizioni dai velleitari licei leggeri alle istruzioni tecniche e professionali di cui abbiamo urgente bisogno.
Ma a proposito dell’Italia è giunto il momento, dopo 20 anni, di fare un po’ di precisazioni. È del tutto sbagliato parlare di risultati italiani, dicendo poi che sono disastrosi, con il solito masochismo che nasconde la presunzione. Qualche Rapporto Invalsi fa era stata introdotta la categoria del sopra-Marche e del sotto-Marche per fare qualcosa di un po’ più sofisticato e realistico del solito stucchevole Nord-Sud. Quante Italie Invalsi ci sono? Nord-Ovest e Nord-Est (a parte la Liguria) presentano risultati in piena media europea, anche spesso ponendosi ai livelli delle nazioni di più alto livello; visto il livello Escs socioeconomico si potrebbe però migliorare, soprattutto nelle prestazioni degli apicali.
È pero difficile parlare di Centro, se non come espressione geografica. Le Marche – vedi sopra – si avvicinano molto al livello dei due Nord, mentre il Lazio scende decisamente al livello del Sud; in fondo solo Toscana e più indietro Umbria rappresentano un livello intermedio vicino alla media Ocse.
Soprattutto parlare di Sud come di un tutto omogeneo è scorretto. Tutta la fascia adriatica (denominata appunto Sud) si distacca, da ormai vent’anni a questa parte, dalla fascia tirrenica (Sud-Isole) ed anche nell’ultima rilevazione tende al miglioramento.
Insomma è ora di cominciare a distinguere, anche per assumere valutazioni e decisioni adeguate.
E la realtà delle scuole del Sud dovrebbe diventare oggetto sistematico di ricerca, prima ancora che di intervento. Se si crede di risolvere il problema iperfinanziando corsi di recupero pomeridiani, è opportuno ricordare che la storia è lunga ed è la storia dolorosa dei Pon. Avere individuato con più precisione le fragilità è un bel primo passo in avanti, nonostante i deliri di chi vi voleva vedere una etichettatura anti-inclusiva.
Ma mancano analisi qualitative più raffinate che mettano a fuoco le antropologie, le culture, le ideologie che stanno dietro questi ritardi, a meno che non si voglia pensare ad una base genetica… e la solita spiegazione meramente economica ha fatto il suo tempo. Come mai tanta arretratezza e poi tanti giovani che scappano nelle università del Nord e poi magari fanno anche brillanti carriere internazionali? Dove li nascondono le scuole quando ci sono le prove Invalsi che lasciano al Sud-Isole in particolare i livelli 5 e 6 semideserti? Come mai l’Escs è al Sud determinante come nelle nazioni sudamericane e l’equità, cioè il fatto che ragazzi di Escs basso possano raggiungere buoni livelli – cosa che nei Nord succede –, è una sconosciuta?
Qui sta un altro mistero doloroso: perché la sinistra – in particolare quella oggi in auge – cerchi in ogni modo di ignorare questa realtà del Sud, quando l’equità dovrebbe essere la sua stella polare. Come andiamo per la formazione delle classi? Già da tempo i dati ci dicono che molto spesso la segregazione va alla grande.
Forse nell’immediato futuro sta qui un primo compito eccellente di Invalsi: individuare pochi, precisi, finalizzati filoni di ricerca capaci di integrare il qualitativo sulla base non dei sogni pedagogici, ma di solidi dati quantitativi.
In secondo luogo, fortunatamente sta anche per ripartire il Servizio nazionale di valutazione (Snv) che dovrebbe aiutare le scuole ad analizzare i propri risultati nel contesto del Rav, cioè di un’autoanalisi complessiva. Un compito non facile, anche se sono state nel passato molte le scuole che vi si sono prestate volentieri. Può essere grande la tentazione di attuare la politica squash del muro di gomma, da sempre la più facile e storica del mondo scolastico.
Una terza importante funzione di Invalsi si sta mettendo in moto. L’Italia ha un grave problema circa l’attendibilità dei titoli di studio che il suo sistema fornisce al termine del percorso del diploma. Quando, dopo un tira e molla decennale, furono varate le prove del quinto anno, si discusse della modalità di collocazione delle informazioni sul livello raggiunto dallo studente nelle prove Invalsi dell’anno terminale. La ragione del contendere fu anche se collocarle e come insieme ai risultati della maturità. Il contrasto sarebbe stato in alcuni casi troppo grande e perciò fu scelto un percorso autonomo e parallelo. Che oggi permette al giovane di scaricare liberamente in via riservata ed utilizzare i propri risultati. Nella sua relazione il presidente Invalsi Roberto Ricci ha informato che, alla data del 7 luglio 2023, i numeri dei badge scaricati (che contengono le informazioni sui livelli di competenza raggiunti nelle prove) erano saliti a 141.275. Ed anche il processo di riconoscimento sta avanzando: la certificazione del livello raggiunto in particolare in Lingua 1 ha cominciato ad essere riconosciuta nelle scuole ad indirizzo artistico all’estero soprattutto nel Benelux.
Ma può forse la scuola fare tutto da sola? Una cosa particolarmente vera l’ha detta nelle conclusioni Renata Viganò, ordinaria di pedagogia alla Cattolica di Milano e membro del Cda Invalsi – a proposito della tematica cruciale degli abbandoni: la scuola deve fare del suo meglio, ma non può fare tutto da sola. Se la società italiana pensasse che l’istruzione è cosa superflua o meramente esornativa, anche perché la cultura gli italiani ce l’hanno incorporata nel paesaggio, nei monumenti, nel cibo, nel passato insomma, si rischierebbe di andare poco lontano.
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