Abbiamo alle spalle, nelle scuole italiane, due anni di sofferenza e di fatica, vissuti da studenti e insegnanti con lunghi periodi di didattica a distanza e con il ricorso a strumenti e metodologie di insegnamento inconsueti per la nostra tradizione didattica. I risultati di apprendimento degli studenti pubblicati nel Rapporto annuale Invalsi 2021 ne fotografano gli esiti, offrendo dati relativi agli apprendimenti in italiano, matematica e inglese riferiti ai due cicli scolastici. Esiti implacabili e inequivocabilmente preoccupanti.
In sintesi: il Covid ha colpito duramente e lo ha fatto in modo diseguale tra scuola e scuola e tra contesti territoriali. Il 39% degli studenti del terzo anno della scuola secondaria di primo grado non ha raggiunto gli standard minimi in italiano, il 45% in matematica; in quinta superiore la percentuale è rispettivamente il 44% e il 51%; in alcune regioni queste percentuali superano il 60% per italiano, il 70% per matematica e l’80% per inglese (listening). I dati sono esito delle prove standardizzate somministrate nell’ultimo periodo di questo a.s. 2020/21 agli studenti del II e V anno della primaria, del III anno della secondaria di primo grado e del II e V anno della scuola secondaria di secondo grado.
Qui di seguito alcune considerazioni per offrire qualche chiave di lettura e di valutazione.
I dati
I dati Invalsi sono frutto di metodologie di rilevazione oramai consolidate e possono impegnare i responsabili di scuole, i docenti ed i decisori politici in opportune misurazioni, comparazioni nonché valutazioni e necessarie autovalutazioni. L’istituto di ricerca mette a disposizione una serie di dati non solo campionari ma anche censuari, dati di sistema ma anche percentuali puntuali a livello di territori e di singole scuole. È oggi fondamentale avere misure di riferimento su quelle che sono definite competenze fondamentali: comprensione del testo, capacità di fare elaborazioni quantitative, conoscenza dell’inglese nei livelli prescritti dalle Indicazioni nazionali e dalle Linee guida. Tutti prerequisiti per l’accesso all’esercizio dei diritti di cittadinanza.
Cosa dicono i dati
La scuola primaria presenta dati sostanzialmente stabili, ma permane la considerevole differenza tra scuole e tra classi nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese.
Nella scuola di primo e secondo grado la perdita di apprendimenti in italiano e matematica aumenta al crescere dei gradi scolastici. Rimangono sostanzialmente stabili gli esiti di inglese. Dalle prime analisi dei dati si riscontrano, però, differenze molto importanti all’interno del sistema nazionale delle scuole, non solo rispetto ai territori, ma anche in relazione al contesto sociale di provenienza. Inoltre, la differenza tra scuola primaria e secondaria si registra non solo tra le scuole, ma anche tra le classi. La pandemia sembra poi avere accentuato anche il problema della dispersione scolastica, soprattutto nelle sue componenti più difficili da individuare e quantificare. I dati intercettano, infine, una quota di studenti che ha conseguito il diploma di secondo grado senza avere maturato le competenze di base. “Sono quelli che hanno la cosiddetta infarinatura ma che all’uscita della scuola, anche se promossi, non hanno acquisizioni salde” ha detto alla presentazione delle rilevazioni Anna Maria Ajello, dal 2014 presidente Invalsi.
In sintesi nella scuola italiana si fa fatica ad esprimere un aumento delle competenze, tale da uscire dalla bassa crescita. E la bassa crescita di fatto esalta ulteriormente le ineguaglianze.
Alcune prime considerazioni
I dati delle rilevazioni degli apprendimenti erano già gravi prima della pandemia, fotografando un sistema scolastico specchio del Paese, quello di un territorio molto diviso. Lo shock della pandemia ha esasperato le differenze già preesistenti ed ha maggiormente colpito dove vi era sofferenza.
I risultati della scuola primaria – stabili rispetto alle rilevazioni del 2018 e del 2019 – indicano che in questo livello di scuola cominciano a pagare metodologie didattiche innovative, approcci personalizzati, modelli di insegnamento maggiormente condivisi tra i team di docenti e meno frontali ed il maggior coinvolgimento della comunità territoriale di riferimento.
I risultati delle scuole medie e superiori evidenziano, invece, il permanere di modelli di insegnamento tradizionali, meno efficaci e meno resilienti.
Quali prospettive di intervento potrebbero collaborare ad una inversione di tendenza rispetto agli esiti di queste rilevazioni?
La presidente Ajello nella presentazione, indicando l’urgenza di interventi riparatori per il periodo che verrà, ha innanzitutto richiamato la necessità di “non fare parti uguali tra diseguali”, ovvero di individuare interventi e risorse diversificate tra territori e tra contesti.
Di fronte alla drammatica certificazione delle rilevazioni Invalsi dovranno, inoltre, essere ripensati la qualità dell’insegnamento e la formazione iniziale e in servizio dei docenti, oltre che lo sviluppo delle loro carriere interne, la riqualificazione professionale per promuovere adeguate forme di didattica integrata, l’ideazione di ambienti mirati ad apprendimenti personalizzati e significativi, la progettazione di metodologie didattiche elaborate da team di insegnanti impegnati in una forte reciproca collaborazione.
Sarà sempre più decisivo anche promuovere competenze cognitive e non cognitive, continuare a investire sui percorsi di formazione tecnica e professionale, sviluppare modelli di scuole aperte e diffuse al centro di solidi sistemi integrati con enti locali, fondazioni, terzo settore e soggetti culturali del territorio.
La progettazione delle riforme e degli investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per la Missione 4 “Istruzione e qualità” rappresentano in queste prospettive un’autentica risorsa ed un’occasione da non sprecare.
“Questi dati sono presi in prestito dal futuro – ha detto Roberto Ricci responsabile dell’indagine Invalsi – e non sono eredità dal passato”: un modo per guardare con speranza alla possibilità di collaborare fin da ora ad un’inversione di tendenza che rimetta la scuola ed il suo futuro al centro delle politiche nazionali e del lavoro di tutti.
Il noto richiamo di Hannah Arendt può indicare la matrice ideale a cui riferirsi per questo nuovo e consapevole inizio: “L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumerci la responsabilità di salvarlo, così, dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti”.
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