Il Consiglio dei ministri ha approvato in data 10 ottobre il decreto “salva precari”, che prevede un concorso straordinario per 24mila assunzioni di docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado. Possono accedere i docenti che hanno un servizio nelle sole scuole statali di almeno tre anni tra l’anno scolastico 2011/2012 e l’anno scolastico 2018/2019, di cui almeno uno per la classe di concorso per la quale si concorre.
Il concorso, che praticamente ricalca quanto discusso nell’incontro fra Miur e sindacati della scuola tenutosi a inizio ottobre, prevede una prova a computer a risposte chiuse, la valutazione dei titoli e poi la stesura di una graduatoria. Chi non rientrerà nei primi 24mila sarà abilitato attraverso la procedura concorsuale, un bel caso di 2×1, purché sia in servizio presso una scuola statale, abbia conseguito o consegua i 24 Cfu e prenda almeno 7/10 nella prova scritta.
Particolarmente interessante il comma 6, che recita: “Al fine di contrastare il fenomeno del ricorso ai contratti a tempo determinato nelle istituzioni scolastiche statali e per favorire l’immissione in ruolo dei relativi precari, il servizio di cui al comma 5, lettera a), è preso in considerazione unicamente se prestato nelle scuole secondarie statali”. La logica sembrerebbe inoppugnabile; la scuola statale ha bisogno di stabilizzare i “suoi” docenti, i “suoi” precari, per cui non si prende in carico i docenti della scuola paritaria.
Accettiamo in via ipotetica tale premessa, o condizione capestro, come corretta; analogamente, i docenti assunti presso la scuola paritaria a tempo indeterminato o determinato dovrebbero poter usufruire di analoghe condizioni all’interno del ramo della istruzione in cui sono collocati e quindi dovrebbero poter sostenere una prova, analoga a quella dei loro colleghi della scuola statale, che dia loro almeno il sottoprodotto della procedura concorsuale, vale a dire l’abilitazione, ovviamente alle stesse condizioni del collega precario statale. La scuola paritaria ha l’obbligo di erogare un servizio pubblico di cui risponde – pena la perdita della parità – allo Stato italiano, e una delle condizioni essenziali di quest’obbligo è l’utilizzo di docenti abilitati.
Ora, se l’ipotesi di tale concorso contravviene al principio giuridico che solo lo Stato abilita gli insegnanti, sia lo Stato a permettere ai docenti della paritaria di partecipare al concorso ai soli fini dell’abilitazione. Allo Stato non costerebbe nulla, anzi, si garantirebbe l’entrata delle quote di segreteria, e visto che il ministro Fioramonti è il fautore delle piccole entrate che sostengono la scuola, ma che non ha avuto né le merendine né le tasse sui biglietti aerei (a dire il vero nemmeno i tre miliardi che avrebbero scongiurato le sue immediate dimissioni), non dovrebbe disprezzare questo piccolo contributo pecuniario, quasi spontaneo, da parte dei docenti paritari desiderosi di abilitazione.
Rifiutiamo ora, e questa volta non in via ipotetica, la premessa dell’esclusione dei docenti delle scuole paritarie (che avessero tre anni di servizio misto o esclusivamente nella paritaria e che quindi sarebbero tagliati fuori dal concorso-crea-ruoli e abilita-tutti); rimane l’ostacolo della motivazione addotta nel comma 6, vale a dire la necessità della scuola statale di sistemare i suoi precari. Ma se le cose stanno così, di grazia, è possibile capire perché questo concorso sarà aperto anche ai docenti già in ruolo nello Stato, che precari non sono?
Egregio Ministro, attendiamo una Sua risposta. Via Twitter, se preferisce.