Proprio in questi giorni, in ogni regione, stanno riaprendo i cancelli delle scuole. Frotte di bambini e ragazzi stanno tornando fra i banchi. Che siano tutti felici non si sa: l’antico, classico trauma da ritorno a scuola, il colpo dato dal primo giorno alla beata prateria delle vacanze, è sempre dietro l’angolo. Eppure c’è da credere che la stragrande maggioranza ne sia invece contenta: troppi mesi passati chiusi a chiave (“lockdown”), troppa solitudine tra i muri di casa per colpa della pandemia. Chi è sano desidera in questi giorni rivedere compagni e amici, persino i prof. Speriamo tutti.



Chi non appartiene alla comunità scolastica ha però il diritto di ignorare che molti ragazzi e moltissimi insegnanti sono già a scuola da settimane. Intanto s’è avuta la novità dell’apertura estiva delle scuole, di cui tanti hanno usufruito; gli esami di riparazione hanno poi convocato in classe migliaia di persone già da agosto; infine dai primissimi di settembre tutti i collegi dei docenti stanno riunendosi per progettare il nuovo anno scolastico. Il fatto nuovo è che quest’anno, durante tutte queste riunioni preliminari, non si è parlato di scuola. Molti di noi ricordano, con una punta di nostalgia romantica, come nelle prime due settimane di settembre si pensasse a quali attività svolgere nelle varie materie, quali cartelloni colorati dovessero accogliere il ritorno dei bambini, quale didattica si dovesse attuare per consentire, con le prove d’ingresso, di capire a che punto fossero gli studenti e da lì ricominciare. Niente di tutto questo. La riflessione e la progettazione educativa didattica, così comunitaria, determinante e persino gaia negli anni passati, è stata affidata all’impegno solitario e serale, nonché domestico, dei singoli insegnanti.



Che si è fatto allora in questo profluvio di ore passate dai docenti a scuola prima della prima campanella? Si è parlato, spesso a vanvera, di organizzazione e sicurezza, è il tema è stato, al 99 per cento, ancora il Covid, persino nelle assemblee coi genitori. Entrate separate, mascherina sì mascherina no, chi deve esibire il green pass, quando e come, chi lo deve controllare, cosa sta facendo il Comune per adeguare le scuole, chiedere i protocolli al ministero, al preside, alla ditta incaricata della sicurezza, ma se uno si ammala chi decide chi deve stare a casa e quanto, l’Usl quando interviene…



Si potrebbero riempire libri e libri di queste discussioni e dubbi, domande che spesso non si sa a chi porre, nel caos in cui ci si trova. Faccio un solo esempio di cui sono testimone diretto: il giorno dopo l’assemblea coi genitori in presenza a scuola, svolta senza che essi dovessero esibire il green pass, giunge la circolare ministeriale che impone il controllo del green pass a tutti, quindi anche ai genitori. Questo a due giorni dall’inizio delle lezioni. Possiamo dunque dolorosamente constatare che anche la scuola, come tutti gli ambiti lavorativi pubblici e, ormai, privati, stia diventando soprattutto un luogo di produzione di carte. Siamo una società dove il prodotto principale sono verbali, circolari, protocolli scritti (che nessuno legge). Carta e basta.

Ricordiamoci allora a cosa serve il sistema d’istruzione, saltando con un balzo solo tutte le parole d’ordine, pseudopedagogiche, che ogni cambio di vento, e di governo, rovescia sulla scuola stessa come mode effimere. La scuola serve a scoprire la bellezza della vita e del mondo, la sua scansione in materie e percorsi disciplinari, dei cui contenuti non parla più nessuno, è utile per affrontare insieme la stupefacente e complessa bellezza di ciò che esiste: la bellezza delle parole e dell’espressione artistica e musicale, la scoperta di logiche corrispondenze nella stupefacenza della natura, la conoscenza di segreti e antichi ricorsi e somiglianze con la nostra anima nella storia e nei popoli del mondo.

È per questo che abbiamo riaperto i cancelli, per nulla di meno. Non per non ammalarci o per fare lezione in sicurezza, obiettivi sacrosanti ma, se si pensa solo a questi, decisamente limitati. La scuola sarà sempre una fondamentale esperienza di incontro tra grandi e giovani per percorrere una strada quotidiana verso la bellezza del vivere. Rimettiamoci, per favore, a riflettere su questo.

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