Un’indagine fatta da Demos per Repubblica sull’atteggiamento degli italiani verso la Dad alle superiori ha rilevato una valutazione nel complesso positiva: il 64%, quasi i due terzi del campione intervistato (rappresentativo dell’intera popolazione) esprime, infatti, un giudizio “positivo” di questa tecnica, che permette di condurre e seguire le lezioni “a distanza”. 



Questa indagine fa riflettere e le ragioni di questa valutazione positiva andrebbero capite più a fondo. Non sembra infatti un giudizio assoluto da ritenere valido in quanto tale, e tale da far diventare la Dad il futuro della scuola.

Il giudizio positivo sulla Dad indica un apprezzamento del fatto che la scuola non si è arresa alla crisi provocata dalla pandemia ma ha reagito subito, fin dal marzo scorso, e ha trovato le modalità (online) per tenere un rapporto con gli studenti. In questo senso si tratta di un dato quanto mai positivo: significa che vi è una forza educativa presente oggi che viene prima dell’istituzione scuola e la oltrepassa. Un rapporto educativo è ciò che desiderano sia gli studenti sia gli insegnanti, tant’è vero che non appena l’insegnamento in presenza è venuto a mancare, tutti si sono messi a cercare il modo per farlo vivere in emergenza.



Il valore dunque non è la Dad, ma il fatto che studenti e insegnanti l’abbiano inventata per poter continuare un cammino di conoscenza. Per questo, a mio avviso, non si può leggere l’indagine fatta come un’apologia della Dad; sembra piuttosto il giudizio dato da uno sguardo realistico alla situazione. Se infatti è stato positivo il fatto che la si sia subito introdotta, occorre rilevarne i punti di mancanza, che non vuol dire demonizzarla o decretarne l’insuccesso, quanto piuttosto evidenziare ancor di più la natura dell’educazione.

Il primo aspetto di mancanza è proprio la presenza, il bisogno di un rapporto faccia a faccia, l’esigenza di uno che tiri le righe su quello che si è scritto. La Dad è una didattica dell’emergenza. Che gli strumenti informatici siano utili in un percorso educativo è un dato significativo e quanto mai interessante, ma educare è un rapporto che chiede presenza, corporeità, fisicità. Questo oggi manca, di questo si ha quanto mai bisogno. 



Il secondo aspetto di mancanza riguarda le fasce più deboli,  proprio perché sono le persone che più hanno bisogno di un rapporto in presenza per poter camminare e procedere in senso positivo sulla via dell’imparare. 

Vi è poi un giudizio complessivo sul tipo di scuola che si è fatto in questi mesi. Si è trattato, come attestano moltissime esperienze, di un impegno eccezionale, di un lavoro realmente creativo, per di più compiuto nel momento più drammatico della crisi, ma che non è potuto restare all’altezza del percorso di conoscenza e di apprendimento che si stava sviluppando. Di fatto si è salvata la scuola, ma le generazioni della Dad hanno avuto meno di quello che avrebbero potuto avere; e ciò che non hanno avuto va loro restituito. Non è una questione di quantità di informazioni o di tecniche, ma di qualità dell’educazione. Perché l’educazione è un rapporto, è la presenza di un tu ad un io, ad un noi, è vivere la ricchezza di una reciprocità. 

Speriamo dunque di ridare ai giovani d’oggi la fisicità di un rapporto educativo. È un compito stimolante e affascinante, che impegna più della Dad.