Le misure di sicurezza per il contrasto alla diffusione del Covid-19 (a partire dal lockdown del marzo 2020 con la sospensione delle attività didattiche in presenza) hanno dato una spinta propulsiva al digitale nella scuola, con una velocità che le azioni progettate dal Piano nazionale scuola digitale, varato nel 2015 con la legge 107 “Buona Scuola”, non avrebbero potuto prevedere né immaginare.



A un anno di distanza, tra le diverse considerazioni che si possono fare, vi è senza dubbio la constatazione che l’irruzione forzata della tecnologia nella quotidianità scolastica, utilizzata per erogare e fruire forme di distance learning, ha costretto studenti, famiglie e docenti ad acquisire una maggiore familiarità con strumenti tecnologici e applicativi digitali: l’introduzione della Dad ha provocato giocoforza un utilizzo più evidente e inedito delle piattaforme didattiche che pure in alcune scuole erano già in uso.



Il web è stato infatti per diverso tempo il luogo in cui si è dovuto esprimere il rapporto quotidiano tra alunni ed insegnanti, alle prese con sistemi di videoconferenza più o meno affidabili e sicuri e con una sfida didattica ed educativa senza precedenti.

I problemi sono stati tanti e sono stati diversi, esattamente come tanti e diversi sono stati i tentativi dei collegi docenti di raggiungere in tutti i modi e con la maggior efficacia possibile i propri alunni, facendo fronte anche alla mancanza di dotazioni informatiche e connessioni internet delle famiglie più disagiate. Attraverso la distribuzione di fondi dedicati e di appositi bandi Pon, le scuole hanno avuto l’opportunità di incrementare il numero dei propri dispositivi elettronici, ed è stata introdotta la figura dell’assistente tecnico anche nel primo ciclo di istruzione.



Parallelamente, si è assistito al proliferare di iniziative di formazione per gli insegnanti, con corsi e webinar in cui, insieme ad un addestramento a diversi livelli sugli strumenti digitali, venivano proposte strategie e metodi per adeguare i percorsi formativi al nuovo setting virtuale in cui ci si trovava per la prima volta a svolgere le lezioni.

I Piani per la didattica digitale integrata predisposti e approvati all’inizio dell’a.s. 2020/2021 hanno trovato le scuole e i docenti più preparati, anche se le difficoltà non sono mancate, tra quarantene, percentuali, zone rosse, presenza o meno degli studenti con Bes, zoombombing e altri fenomeni del genere.

Nel corso di questo lungo anno pandemico, inoltre, le società proprietarie di piattaforme o di tools didattici disponibili sul web hanno manifestato forme di aiuti generosi alle scuole, fornendo gratuitamente servizi che prima erano a pagamento e avviando un aggiornamento costante e continuo delle proprie funzioni e delle proprie misure di sicurezza, al fine di rispondere al meglio alle esigenze degli educatori e consentire loro un lavoro adeguato e incisivo.

La tecnologia informatica, sempre più presente nel mondo attuale con le sue innegabili risorse e potenzialità positive ma anche con i suoi altrettanto innegabili rischi, è diventata nel corso di questi mesi uno strumento di comunicazione tra generazioni: per riprendere la famosa definizione di Prensky (2001) è accaduto che i docenti, nella veste di “immigrati digitali” (cioè di coloro che hanno “imparato a utilizzare le tecnologie digitali in età adulta”, come da definizione del dizionario Treccani) hanno fatto di tutto per raggiungere i propri studenti attraverso i mezzi a cui questi ultimi (i cosiddetti “nativi digitali”) sono abituati sin da bambini.

È un’asimmetria, questa, che apre lo spazio a diverse implicazioni. Per gli alunni che frequentano le scuole italiane, dai più piccoli ai più grandi, gli strumenti informatici con cui gli abbiamo chiesto e gli chiediamo di lavorare (e con cui anche nel loro futuro professionale si troveranno ad avere a che fare) nascono innanzitutto come mezzi di intrattenimento e relazione sociale; è necessario pertanto accompagnarli nella rivoluzione che gli stiamo chiedendo, costruendo gradualmente in loro e insieme a loro una reale consapevolezza digitale. Inoltre, questa asimmetria chiede a noi adulti non solo di imparare ad usare il pc, ma anche di conoscere e provare a capire un mondo i cui tratti possono apparirci estranei e lontani, a partire dalla passione che riscontriamo nelle giovani generazioni per gli youtuber, gli influencer e i videogamer.

Non è un caso che uno degli assi identificati dalle Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica introdotto nel corrente a.s. come disciplina a sé sia proprio quello della “cittadinanza digitale”. Non sussistono in questo campo (né per i nativi né per gli immigrati digitali) automatiche equivalenze: cittadini digitali si diventa. La competenza digitale, nelle varie sfaccettature di cui è composta, è infatti un traguardo che si raggiunge come tutte le conquiste della vita: attraverso cioè un percorso fatto di conoscenza, consapevolezza e giudizio. È per questo che la rivoluzione tecnologica che stiamo attraversando – dentro e oltre la pandemia – deve sempre essere accompagnata da un attento lavoro di riflessione e diventare anch’essa parte del dialogo che coinvolge tutti gli attori del mondo della scuola (insegnanti, alunni e genitori), inserendosi nell’umana avventura dell’educare. 

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