Il problema della sicurezza a scuola è recentemente tornato alla ribalta della cronaca. Il ripetersi improvviso di crolli di soffitti e solai negli edifici scolastici dal Nord al Sud del paese ha riacceso il dibattito circa l’adeguatezza del quadro normativo attuale a fronte di proposte di riforma che si sono susseguite fin dal recente passato.



Nel mese di ottobre scorso più di 600 presidi da tutta Italia si sono ritrovati a Roma, sfilando simbolicamente sotto il ministero dell’Istruzione con tanto di gilet e casco di sicurezza, per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla necessità di tutelare la salute di alunni e lavoratori della scuola.



In Italia, a differenza di quanto accade all’estero, il dirigente scolastico ha assunto la qualifica, e le connesse responsabilità civili e penali, di datore di lavoro. Assieme a questa, nell’ultimo ventennio sono state assegnati al dirigente scolastico anche molti altri compiti amministrativi complessi, quali la tutela della privacy, il controllo delle vaccinazioni obbligatorie, i contratti di lavoro, le immissioni in ruolo, i pensionamenti, la difesa in giudizio dell’amministrazione e quant’altro. Tali incombenze professionali corrono il rischio di essere la causa della trasformazione del ruolo del preside italiano da leader educativo a “burotecnocrate”.



Questa tipologia di profilo lavorativo, unitamente alla responsabilità penale quasi “oggettiva” che emerge dall’attuale quadro normativo in tema di sicurezza, sta avendo come conseguenza l’allontanarsi dell’azione professionale del dirigente scolastico dalle emergenze educative e culturali, che dovrebbero invece costituire il cuore della sua mission lavorativa. La professione del preside in Italia ha assunto oggi caratteri contraddittori, attraversa una crisi che non accenna a diminuire e pone una domanda al momento senza risposta: dirigente scolastico “datore di lavoro” o preside “leader educativo”?

Secondo la normativa che riconosce l’autonomia alle istituzioni scolastiche, le scuole italiane avrebbero dovuto radicarsi nella comunità locale, in stretta alleanza con i soggetti istituzionali del sistema formativo integrato, permettendo dunque la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica secondo un’ottica di sussidiarietà. Purtroppo le “carte” e le continue scadenze asserragliano sempre più il preside all’interno degli uffici, lo trasformano in un tuttologo, lontano dalla vita pulsante della scuola; per scongiurare refluenze di carattere penale e patrimoniale, il dirigente scolastico è costretto a delegare ciò che è indelegabile, il cuore della sua professione, e cioè il governo puntuale e partecipato dell’ideazione, attuazione, monitoraggio e miglioramento delle politiche educative nella comunità in cui vive ed opera. C’è una soluzione a tutto questo?

Sappiamo che la ratio del quadro normativo in tema di sicurezza dovrebbe essere preservare la salute dei cittadini, principio di rilevanza costituzionale. Con il Dm 292/1996, per le istituzioni scolastiche sono stati individuati come “datori di lavoro”, ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 626/1994, i dirigenti scolastici, ai quali pertanto fanno capo i compiti e le responsabilità previsti dalla normativa di riferimento. Il decreto legislativo 626/1994 è stato novellato dal decreto legislativo 81/2008, che, all’articolo 2, definisce il datore di lavoro come “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”.

Ricordiamo genesi e motivazioni del decreto 81. Esso viene approvato il 9 aprile 2008 a distanza ravvicinata da due terribili tragedie sul lavoro: la strage degli operai della linea 5 nella fabbrica ThyssenKrupp a Torino e la morte dello studente Vito Scafidi al liceo Darwin di Rivoli a causa del crollo di un controsoffitto. È da notare che il Dlgs 81 avrebbe dovuto essere seguito dall’emanazione di decreti applicativi per ciascun settore lavorativo. A tutt’oggi, a più di dieci anni dall’emanazione, non è stato ancora esitato alcun decreto nel campo dell’istruzione pubblica.

Nell’ordinamento giuridico italiano è pure in vigore la legge 23/1996, in materia di competenze degli enti locali, la quale all’articolo 1 esplicita le seguenti finalità: “1. Le strutture edilizie costituiscono elemento fondamentale e integrante del sistema scolastico. Obiettivo della presente legge è assicurare a tali strutture uno sviluppo qualitativo e una collocazione sul territorio adeguati alla costante evoluzione delle dinamiche formative, culturali, economiche e sociali. 2. La programmazione degli interventi per le finalità di cui al comma 1 deve garantire: (…) c) l’adeguamento alle norme vigenti in materia di agibilità, sicurezza e igiene; … g) la piena utilizzazione delle strutture scolastiche da parte della collettività”.

All’articolo 3, vengono esplicitate le competenze degli enti locali: “…provvedono alla realizzazione, alla fornitura e alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici (…) Gli enti territoriali competenti possono delegare alle singole istituzioni scolastiche, su loro richiesta, funzioni relative alla manutenzione ordinaria degli edifici destinati ad uso scolastico. A tal fine gli enti territoriali assicurano le risorse finanziarie necessarie per l’esercizio delle funzioni delegate”. A chi compete dunque la tutela della sicurezza di alunni e lavoratori in campo scolastico?

A fronte di questo complesso quadro normativo è d’obbligo effettuare alcune riflessioni.

(1 – continua)