Utilizzando la messe di dati a sua disposizione, Invalsi, con un primo editoriale apparso sul sito invalsiopen recentemente inaugurato e dedicato in via esclusiva alle prove, ci dice che ai “dispersi espliciti”, cioè ai giovani in fascia di età non iscritti e non frequentanti, si devono aggiungere i dispersi “impliciti”. Come tali vanno considerati gli allievi che, al termine della scuola secondaria superiore, si collocano nella fascia inferiore dei risultati nelle prove somministrate nel corso del 5° anno. Al 14,5% dunque degli assenti si deve aggiungere il 7,1% di chi si colloca nella fascia 1 e 2, cioè sotto i livelli convenzionalmente descritti come quelli di accettabilità. E, al solito, Veneto e Trento sono sotto al 10%, mentre Sicilia e Sardegna si attestano al 37%.
Per inciso, speriamo che questo sia l’inizio di un prezioso servizio da parte dell’Invalsi che dovrebbe non limitarsi solo alla raccolta di dati il più possibile attendibili, ma offrirci analisi oggettive ed approfondite sulla situazione attuale della nostra scuola. Nel testo di Roberto Ricci viene sottolineato il fatto che la consapevolezza di questa situazione dovrebbe indurre a mettere in atto meccanismi di compensazione e di recupero utili a diminuire, se non azzerare, questa percentuale davvero molto ampia e molto differenziata fra le varie parti del nostro paese.
Può aiutare riflettere sulle varie facce e cause di questa “dispersione nascosta”. Una prima ragione può farsi risalire al fatto che si usino nelle classi, nelle scuole, nei territori in cui si accerta questo fenomeno parametri di valutazione troppo bassi e perciò non si abbia neppure la consapevolezza di portare avanti (promuovere) soggetti oggettivamente “dispersi”. Per non andare troppo lontano basta dare un’occhiata alle graduatorie a testa in giù dei risultati Invalsi della V superiore articolati per Regione e compararli con quelle di ciò che si chiama pomposamente ed ormai anacronisticamente (se la parola “Stato” porta con sé un alone di serietà) “esame di Stato”.
La seconda faccia è più delicata: questi dispersi informali potrebbero essere anche i figli delle cosiddette promozioni facili. Oggi la promozione è diventata quasi automatica a livello generalizzato internazionale e non solo in Italia, come lamentano i nostri laudatores temporis acti d’ufficio. La benevolenza generalizzata (“misurare il percorso…”), figlia dell’italico perdono automatico e ad ogni costo è la facies che questo fenomeno ha preso qui da noi. Ma in realtà la tendenziale sparizione della ripetenza avviene soprattutto attraverso la moral suasion dei governi, perché le ricerche avrebbero provato che la ripetenza non risolve i problemi di apprendimento ed è un costo infruttuoso. Pisa analizza i quindicenni, che in Italia possono frequentare anche la terza media; quando, all’inizio degli anni 2000, i loro numeri erano sufficientemente corposi da permettere analisi attendibili, i loro risultati erano i più bassi di tutti.
Gli insegnanti non ne sono entusiasti un po’ dappertutto, per molte ragioni che non sono solo la fiducia nello studio professionalmente dovuta: le cose troppo facili si screditano e con ciò chi vi lavora; e poi, soprattutto nelle superiori in cui hanno peso la volontà ed i comportamenti degli allievi, l’abolizione di fatto delle bocciature comporta anche la perdita di uno strumento di gestione della classe. Però oggi in occidente si tende a scindere i comportamenti dall’acquisizione del sapere, visto che sembra di moda il modello del genio ribelle pur se, grazie a Dio, non siamo tutti geni (anzi…). I successi nelle valutazioni internazionali delle “tigri asiatiche” hanno però insinuato anche negli analisti Pisa il dubbio che la buona vecchia disciplina ci abbia qualcosa a che fare, tanto è vero che nell’analisi dei fattori causali si tende a dare maggiore attenzione al clima disciplinare della classe.
Il fatto, però, è che i sistemi a promozione assicurata hanno altri modi per garantire l’efficienza del sistema: l’orientamento obbligatorio ai diversi tipi di scuola superiore o su parere degli insegnanti (Francia) o attraverso un esame esterno (Gran Bretagna) oppure la selezione generalizzata all’ingresso nell’università – attraverso esami ancora una volta esterni – quasi universalmente diffusa, che genera il poi il tutoring o le scuole aggiuntive private in un numero crescente di paesi.
Sistemi come il nostro, che non utilizzano sistemi di questo genere ma che si orientano verso la promozione generalizzata come dimostrano i dati analizzati da Invalsi, affidano la selezione sociale in modo non dichiarato alle appartenenze. Come se non bastasse, il fatto ormai dimostrato è che lo status economico-sociale (Escs) è ancora il fattore fondamentale dei risultati di apprendimento e di tutto quanto ne segue.