Le parole sopra un foglio sono mute. Le parole sopra un foglio sono vuote. C’è bisogno di una voce, di un fiato, di un’aria e di un sangue che le renda vive. I ragazzi si alzano a turno, ordinati all’inizio. Poi sempre più scomposti, frenetici quasi: ognuno ha il suo foglio stretto nel pugno, in mezzo alla sala c’è una piccola scatola e lì dentro ognuno getta via il suo foglio.
Che cosa hanno scritto qualcuno lo dice ad alta voce, qualcuno lo tiene segreto. Quando tornano a sedersi per terra, incuriositi e divertiti anche, mi avvicino al centro della stanza, prendo la scatola e comincio a sciogliere le pallottole di carta che hanno buttato lì dentro. E leggo ad alta voce da ogni foglio quell’unica parola che ciascuno di loro ha scritto: in un foglio a quadretti, con il pennarello rosso c’è la parola paura. In un altro, con una scrittura volutamente tremolante c’è scritto ansia; in un altro ancora delusione; e poi ancora solitudine, rabbia e tristezza.
Sono alunni di prima media che leggono con me Il piccolo principe di Saint-Exupéry: i baobab mettono in pericolo la vita del suo piccolo pianeta e lui si impegna a estirparli per evitare la catastrofe. Come ogni volta ho chiesto ai ragazzi di scrivere un testo e dopo la lettura del quinto capitolo li ho invitati a raccontare quali baobab mettevano in pericolo il loro piccolo pianeta. Quali preoccupazioni, paure, pesi si sentono addosso, quale male anche impedisce loro di sentirsi felici. E di chiamarlo per nome, di scriverlo sul foglio.
La nuova lezione è cominciata così, con loro che li buttavano via, questi baobab, con un gesto che dicesse che le piante che infestano il nostro cuore e ci impediscono di guardare alla vita con desiderio e speranza possono essere estirpate. Un gesto per buttare via le parole cupe. Un gesto simbolico che è all’inizio di un viaggio: del viaggio del piccolo principe che scoprirà perché tornare sul suo piccolo pianeta dopo avere attraversato il deserto e incontrato qualcuno che ha dato voce, fiato, aria e sangue alle parole che prima non comprendeva. L’inizio del viaggio anche per questi ragazzi che, come al piccolo principe è accaduto con la volpe, dovranno trovare qualcuno che non spieghi soltanto le parole su un foglio.
Sono piccoli ancora, ma quelle parole che hanno scritto e buttato via vanno prese sul serio: delusi, soli, tristi e arrabbiati a undici anni, con le loro facce minute, nascosti da ciuffi di capelli improbabili o dentro tute di due misure più grandi, chiedono qualcosa di più e di diverso.
Chiedono che la domanda nascosta sotto tutti quei pesi sia innanzitutto svelata: lo sai che vuoi essere felice? Lo sai che tanti come te si sono messi in viaggio prima di te e adesso con te? Lo sai che non sei solo? Chiedono di conoscere come altri prima di loro si siano chiesti le cose che si chiedono loro, che nome gli hanno dato, quale viaggio hanno fatto per scoprire perché valesse la pena lavorare ogni giorno a togliere baobab per salvare una rosa. Chiedono di capire qual è la loro rosa, per chi e per che cosa svegliarsi ogni giorno e crescere e abitare il mondo. E chiedono un testimone, tanti testimoni: qualcuno che gli faccia compagnia, che con la sua stessa vita viva renda vere le parole di cui il mondo è fatto. Qualcuno che insieme a loro si metta a fare questo viaggio, ripercorrendo le parole degli altri. Ripercorrendo le domande di Leopardi o Montale, l’attesa di Rebora e l’inquietudine di Betocchi o di Einstein e dandogli voce, fiato aria e sangue che le renda vive. Fino ad accorgersi con loro, e con il piccolo principe, che il viaggio, la domanda e la ricerca hanno un punto luminoso verso cui andare, da cui venire invasi e compresi. Fino ad accettare che, come diceva il più inquieto di tutti, Giovanni Testori, l’angelo dice ai pastori: “Andate e troverete un bambino avvolto nei panni”. Non andate e cercate, ma andate e troverete. Fino a riabbracciare finalmente la propria rosa, fino a ritornare finalmente a casa pieni di quella certezza.
Non c’è nessuna riforma che ci insegni a essere testimoni così. Che la scuola, però, rimanga almeno quello spazio in cui la libertà di fare questo viaggio insieme sia ancora possibile.
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