Il “docente esperto” giungerà nelle scuole italiane fra nove anni, nel 2032, una volta completati con successo i tre cicli triennali di formazione, e in contingenti numericamente ben definito (8mila docenti); una volta conseguita la qualifica, il docente si vedrà riconosciuto un aumento stipendiale fisso di un certo rilievo (400 euro mensili), una novità assoluta nel mondo della scuola, unico settore lavorativo ad impiegare in modo quasi esclusivo laureati e a non prevedere alcuna differenza salariale se non quella derivante dalla solo anzianità di servizio.
La misura, inserita nel decreto Aiuti bis approvato il 4 agosto dal Consiglio dei ministri del dimissionario governo Draghi, è stata accolta con favore da chi l’ha subito identificata come l’avvio (un segnale, per i più cauti) di un orientamento meritocratico e della creazione di figure con maggiori competenze, e con disapprovazione da chi l’ha – altrettanto velocemente – bollata come una palese ingiustizia, in un panorama caratterizzato da stipendi fra i più bassi in Europa, il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale e la piaga storica del precariato.
Anche l’approvazione “in extremis” ha suscitato irritazione e insofferenza; dopo la revisione del processo di formazione e reclutamenti di nuovi docenti con i 60 Cfu, di cui almeno 20 di tirocinio attivo, il docente esperto è arrivato nell’ultimo atto legislativo possibile ad un governo dimissionario, senza la possibilità di un “adeguato dialogo con la realtà della scuola” (leggasi “senza ottenere il beneplacito dei sindacati in merito”).
D’altra parte anche il Dl 36 del 30 aprile 2022 (approvato dal governo come parte del Pnrr) aveva portato allo sciopero generale del 30 maggio, e anche qui la lingua batteva dove il dente doleva: il decreto ha infatti introdotto sia il requisito dei 60 Cfu, sia il superamento del concorso e relativo anno di prova per le nuove assunzioni, sia – a partire dall’anno scolastico 2023/24 – un sistema di formazione e aggiornamento permanente dei docenti di ruolo articolato in percorsi di durata almeno annuale e retribuiti una tantum. En passant si noti che entro fine luglio sarebbe dovuto uscire il decreto attuativo di questi provvedimenti, ma non ve ne è traccia ancora oggi.
La novità del docente esperto starebbe quindi, al di là delle polemiche per l’approvazione da parte di un governo dimissionario, nel rendere strutturale la premialità assicurata al docente che supererà i tre cicli di formazione, oltre che nella durata del percorso di formazione e nel limitare fortemente (8mila unità) il numero di queste figure? Non si tratterebbe pertanto di una semplice estensione di una norma già approvata, ma di qualcosa di molto diverso; non un emolumento annuale per potenzialmente tutti i docenti (purché impegnato in attività di progettazione e formazione) ma nove anni di formazioni per “pochi eletti”.
Ci si aspetterebbe che la falange degli 8mila sia investita, in forza della formazione ricevuta, dell’incarico della disseminazione, ma evidentemente il provvedimento ha voluto differenziarsi da quanto si tentò di attuare ancora in fase di “Buona Scuola” del governo Renzi nel 2014, ove la nota ministeriale dell’aprile 2014 prevedeva appunto la formazione di docenti esperti (a fronte di percorsi formativi ben più ridotti) e su varie aree progettuali, ma col preciso incarico della disseminazione, vale a dire della ricaduta a cascata per altri docenti oltre a quelli esperti delle competenze acquisite.
Nel decreto Aiuti tale atto – la disseminazione – è non solo sparita ma espressamente proibita; il docente esperto si forma per sé e non avrà alcun incarico aggiuntivo; unica analogia è il numero esiguo dei docenti previsti, uno per scuola nel 2014, e, se il progetto andasse in porto, qualcosa di simile per il nuovo docente esperto.
Siamo quindi di fronte al riciclo creativo di una vecchia idea, molto più vecchia del sistema di formazione introdotto nel decreto 36 di aprile 2022? Magari epurata di quell’aspetto di estemporaneità e brevità (almeno così sembrerebbe, visti i nove anni e le tre prove da superare) per conseguire l’agognata (ma lo sarà?) qualifica con relativo aumento salariale che caratterizzava entrambe le norme qui ricordate?
Il razionale di un provvedimento non è un aspetto secondario dello stesso, ma non è dato sapere quale esso sia stato, a meno che l’ex ministro dell’Istruzione Bianchi non approfitti della sua pausa estiva per condividere con l’opinione pubblica quali analisi, studi, considerazioni abbiano dato origine all’emersione dal passato (recente o remoto, ce lo dirà lui) del docente esperto. Sperando che non ci venga rivelato che la misura ha avuto una genesi esclusivamente politica e nel senso più deleterio del termine, cioè dettata da esigenze esterne e non sistemiche (il Pnrr e il suo bisogno di utilizzo fondi a fini migliorativi del sistema con verifica documentabile di fronte al banco di prova dell’Ue?).
Nell’attesa, penso che almeno due considerazioni siano proponibili. La prima è che il numero dei docenti è risibile rispetto alla (supposta, per il momento) esigenza di un rinnovamento sistemico; la seconda è che l’età media del docente italiano è 51 anni (circa due su tre docenti nella secondaria hanno superato i cinquanta) e nel 2032 avrebbe superato i sessant’anni. Il provvedimento si rivolge pertanto in primis a quel terzo circa del personale che sia relativamente “giovane” (si tratta comunque solo di docenti che abbiano conseguito il ruolo, una “iniziazione” che visti gli scarsi risultati dei vari concorsoni, non è avvenuta né facilmente né velocemente) e anche a coloro che conquisteranno il ruolo attraverso il nuovo e lungo percorso introdotto ad aprile 2022.
Un vantaggio per la scuola? Premiamo i giovani? Sicuramente incoraggiare i “giovani trentenni o quarantenni” (a 40 anni oggi si è sicuramente giovani se i 60 sono i nuovi 40, a detta di attrici ben curate e certamente giovanili) a entrare nel mondo della scuola è non solo auspicabile, ma necessario, pur a fronte della denatalità e del conseguente calo degli alunni e studenti. Tuttavia suscita perplessità che i docenti esperti non per formazione accademica ma periti, vale a dire ricchi di esperienza, non abbiano trovato posto nel piano del ministro uscente. L’anzianità di servizio determina già un aumento stipendiale, ma onestamente lento e risibile, e individuare forme di premialità che valorizzino le esperienze e competenze già esistenti nella scuola non è facile: qualifiche professionali aggiuntive del docente, da lui o lei acquisite a titolo personale e non all’interno di percorsi predeterminati? una generica efficacia didattica? gradimento degli studenti? dei genitori? risultati scolastici degli studenti, testati con Invalsi e anche non? capacità di gestione dei conflitti e delle difficoltà emotive? capacità di valorizzazione delle eccellenze? capacità di cooperazione fra colleghi? inventiva? passione educativa? empatia, vale a dire intelligenza emotiva? e le conoscenze?
Hanno poi così torto i genitori che cercano il prof bravo, che a) conosce la materia, b) la sa spiegare, c) capisce i ragazzi, e se partecipa o coordina progetti lo fa centellinando le sue risorse perché sa di averne molte, ma non illimitate, e quindi sceglie con cura per i suoi allievi? Da docente ampiamente nelle media nazionale per età anagrafica, ne ho incontrati molti; se il ministro Bianchi lo gradisce posso segnalargli qualche “docente esperto”, qualcuno anche giovane.
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