I controlli sull’assenteismo eseguiti dalla Guardia di finanza sono scattati al “Gioberti” di Torino mercoledì 16 mattina, quando le Fiamme gialle sono entrate nel liceo di via Sant’Ottavio. Ai docenti, sconcertati e indignati, è stato chiesto di mostrare un documento che attestasse la propria identità e di apporre un’ulteriore firma di presenza su un apposito elenco. Cosa mai vista in una scuola.
Ma la notizia del blitz non mi stupisce affatto. Anzi, conferma quello che da anni vado dicendo su un modo di procedere doppiamente errato dello Stato che, anziché governare, opera a pioggia con esortazioni e minacce, con eccessi dunque sia nel castigo che nell’indulgenza.
Quando in un Comune decine di dipendenti falsificano le presenze è chiaro che i capiufficio sono d’accordo. E quindi l’azione di risanamento dovrebbe cominciare proprio con l’allontanamento dei dirigenti inetti e il sostegno chiaro a quelli onesti.
Qualche dirigente, specialmente al Sud, ha fatto osservare che è molto rischioso intervenire drasticamente in certe situazioni particolarmente deteriorate per cui a volte anche il dirigente onesto si mette in quarantena e fa finta di non vedere.
Qui al Nord la situazione è meno deteriorata ma, soprattutto nel pubblico impiego, un certo stile lassista e perfino di aperta complicità con il disimpegno è presente.
Ho sperimentato personalmente, all’inizio della mia carriera, situazioni in cui di fronte alla mia richiesta di rispetto delle procedure, delle posizioni, dei ruoli, delle assenze, dei ritardi, si svolgevano ritorsioni continue. Si chiede il rispetto delle regole? E allora non facciamo lo straordinario, oppure chiediamo continuamente disposizioni scritte contro le quali fare ricorso. Mi opposi a un’abitudine di alcuni bidelli, in scuole diverse, di mandare le mogli a fare le pulizie al proprio posto o di farsi aiutare dai figli nell’apertura o nella chiusura della scuola. Il divieto di queste abitudini innescò regolarmente ritorsioni continue e abilissime, perfino minacce che qui non riporto, ma che lasciano sgomenti.
La mia domanda era, in ogni scuola, come avessero potuto i miei predecessori presidi operare in silenzio, facendo finta di non vedere. Poi capii che i vertici della scuola erano pienamente consapevoli della situazione, ma tacevano. Loro si occupavano di “cultura” e di buone relazioni sindacali.
Ricordo che un provveditore, l’unico per me bravo perché faceva precise analisi quantitative e relazioni rigorose dello stato della scuola provinciale senza gesti e proclami di tipo propagandistico, era ferocemente osteggiato a livello sindacale. Si insediò dopo Giffoni e Finocchiaro. Era il toscano Martinelli, il quale dopo un paio d’anni a Milano chiese il trasferimento a Siena perché la situazione era per lui insostenibile. Dopo aver chiesto il trasferimento invitò i presidi a una serata di addio. Ebbene, su circa mille presidi della provincia di Milano andammo in 30 o 40. Amaramente ci confidò che aveva fatto numerose denunce in tribunale, perché in provveditorato si alteravano i punti delle graduatorie e questo avveniva proprio dentro il centro di calcolo dell’edificio. Per cui fu necessario mettere le password su tutte le macchine e su tutte le operazioni.
In quel periodo, proprio mentre nei media ferveva un grande dibattito pubblico, di cui Sabino Cassese era una delle voci autorevoli, sulla necessità di migliorare il funzionamento delle istituzioni statali, nel provveditorato di Milano si aprirono locali in cui si vendevano capi di vestiario a cura di un’associazione interna del personale. Un giorno, proprio fuori dalla sala riunioni dei presidi, fu aperto un banco con vendita di salumi e formaggi. Indignato, ne chiesi conto e il venditore mi disse che non c’era niente di male e che anche in tribunale c’era il banchetto. Per fortuna la cosa cessò dopo poco tempo.
In particolare i bidelli e il personale amministrativo nelle scuole erano un’area difficilmente gestibile, molto più dei docenti, condizionati dall’algoritmo delle assegnazioni e dei trasferimenti in cui il preside conta zero. Ma anche nella gestione di docenti assolutamente inadatti al compito (io per esperienza li valuto in circa il 10%) la vita del preside era impossibile. Ne ho avuto la prova varie volte con casi di esaurimento nervoso gravissimo, in cui di fronte a miei esposti e alla richiesta di visita medica mi fu risposto che la visita medica si poteva fare solo nell’interesse del docente e con il suo accordo.
Forse oggi la situazione è migliorata, ma non per nuove consapevolezze ai vertici e nei meandri del sistema; forse per una spossatezza generale seguita a decenni di contrasti interminabili. Ma la grande finzione rimane e sta nell’enunciare mete educative altissime, dichiarate a solo scopo propagandistico, mentre la gestione sindacale del personale è la sola vera forza organizzativa. Assunzioni, precariato, trasferimenti e pensioni sono il centro di tutto, nell’assoluta noncuranza dei livelli reali di gestione del sistema e degli esiti dei provvedimenti.
L’efficacia organizzativa è temuta, la verifica dei risultati è ostacolata, vedi Invalsi. E la paralisi continua a produrre risultati pessimi sia per la scuola che per il personale stesso, il quale, con la perdita totale della dignità della scuola, si trova oggi a svolgere un mestieraccio poco pagato e per niente amabile.
Quindi a un dirigente onesto che si trova in una situazione profondamente deteriorata e incorreggibile o ingovernabile non rimane che chiedere il trasferimento o cercare di galleggiare fino a tempi migliori.
Credo che le Fiamme gialle non vadano a caso in una situazione specifica, ma sulla base di denunce più o meno anonime e operino a strascico per non svelare la vera fonte e il vero obiettivo dell’intervento. Sarebbe interessante conoscere i dettagli storici delle vicende interne a quel liceo. Sono certo che esistono, ma non possono emergere pienamente.
Molti non capiscono lo stato drammatico di degrado in cui versa l’organizzazione della scuola e del pubblico impiego e il totale sfaldamento e inettitudine della struttura ordinaria di gestione del sistema. La doppiezza del metodo di correzione usato nelle anomalie maggiori è costante, passando da eccessi di intransigenza a eccessi di permissivismo. Condoni e manette, minacce e perdoni in dosi alternate tutte eccessive. Da tempo chiamo questo modo di fare, ormai tipico dello Stato, “duromollismo”.
Il superamento di questa situazione è impossibile senza una totale riorganizzazione del sistema e il ristabilimento delle regole fondamentali nella struttura organizzativa e nel governo del personale a tutti i livelli.
Da anni penso a questo e così ho elaborato ed elaboro, forse invano, le cure che molti conoscono.