Come già evidenziato su queste pagine, l’insegnamento sul sostegno agli alunni con disabilità è diventato per varie ragioni in Italia un vero e proprio business sulla pelle dei più fragili. Recentemente, il DL 71/2024, recante “Disposizioni urgenti in materia di sport, di sostegno didattico agli alunni con disabilità, per il regolare avvio dell’anno scolastico 2024/2025 e in materia di università e ricerca”, denominato “decreto scuola”, è stato approvato dalla Camera con voto di fiducia e pone con tutta forza almeno due punti sostanziali su cui vale la pena riflettere.
Partiamo dal primo. In una lettera aperta, pubblicata sul Corriere.it, il 18 luglio 2024 la professoressa Catia Giaconi, presidente Sipes (Società italiana di Pedagogia Speciale) e prorettrice vicaria dell’Università di Macerata, riflette sul percorso light di formazione per aspiranti insegnanti di sostegno, che verrà organizzato dall’INDIRE, con intento “riparatore” per chi abbia conseguito in Albania, Romania e Bulgaria un titolo “analogo”, di solito servendosi dell’intermediazione di enti privati pagati profumatamente, oppure per chi abbia tre annualità di servizio sul sostegno: “È giusto – si chiede la professoressa – ridurre in maniera così forte un percorso di studio che dovrebbe fornire una preparazione seria, in grado di affrontare situazioni problematiche e complesse, solo perché non vi è personale specializzato da assumere? Sarebbe immaginabile pensare, ad esempio, laddove vi fossero pochi laureati in matematica, di dimezzare il percorso di studi così da prepararne in numero sufficiente a soddisfare il fabbisogno di posti?”.
Tra il braccio di ferro in atto tra il mondo accademico che vede questi corsi light organizzati da altri enti come un “condono” e un “esautoramento” delle proprie prerogative, e la politica, che deve fare i conti con la realtà del Paese ed è chiamata a governare questi fenomeni, se da una parte è legittima la riflessione sui massimi sistemi, dall’altra il mondo universitario, che per anni ha detenuto il monopolio della formazione dei docenti di sostegno, deve guardarsi al suo interno e, con onestà intellettuale e senza steccati ideologici di corporativismo, chiedersi: come mai e come fa l’Università Bicocca di Milano a gestire “solo” 420 posti dalla primaria alle superiori per l’anno 2024, mentre l’Università di Palermo ne ha ben 1.200? Come mai e come fa l’Università degli Studi di Milano a gestirne “solo” 120, mentre l’Università Enna Kore è capace di gestirne 1.400? Come riesce addirittura la Link Campus University, privata con sede a Roma, a gestirne 2.500?
Potrei fare altri esempi chiamando in causa altre università, naturalmente. È vero che ogni università in Italia gode di ampia autonomia, che talora diventa autocrazia, ma non sarebbe pragmatico che gli atenei italiani, che rilasciano tutte il medesimo titolo avente valore legale sul territorio nazionale, possano “osservarsi” a vicenda per mettere in evidenza le buone pratiche organizzativo-didattiche e adoperarsi per venire incontro alle reali esigenze dell’Italia, che ha un alto fabbisogno di docenti adeguatamente formati per seguire alunne e alunni con disabilità?
Bisogna essere intellettualmente onesti: il ministro Valditara ha dato una risposta politica e pragmatica, come soluzione alla situazione insostenibile che si è venuta a creare per il disinteresse dei precedenti Governi.
L’altra questione posta dalla recente conversione del decreto legge in legge ordinaria sarà foriera di una vera e propria rivoluzione, poiché de facto introduce come criterio di reclutamento nell’alveo della Pubblica amministrazione l’opinione di cittadini privati, seppur portatori di un diritto costituzionalmente garantito, ovvero quello dell’istruzione, che esercitano nei modi in cui troverà applicazione nella prossima direttiva esplicativa dell’articolo di legge. La continuità didattica dell’insegnante di sostegno a tempo determinato, con o senza specializzazione, infatti, è stata introdotta nella legge: “nel caso di richiesta da parte della famiglia, e valutato, da parte del dirigente scolastico, l’interesse del discente, nell’ambito dell’attribuzione degli incarichi a tempo determinato…”.
Tale prelazione si attua con una gerarchia machiavellica che metterà a dura prova le segreterie che dovranno compulsare le graduatorie della scuola italiana, e si rivolgerà realisticamente alla vasta pletora di supplenti, privi del titolo di specializzazione. Che cosa accadrà? Occorre aspettare l’applicazione a partire dall’a.s. 2025/26 alla luce della circolare ministeriale che fornirà i dettagli.
Al di là dell’eventuale uso nepotistico di questa modalità offerta dalla legge, rimane qualche perplessità, legata ai criteri poco oggettivi e, dunque, poco legati alla trasparenza e all’imparzialità che sono valori fondanti della Pubblica amministrazione secondo il dettato della Costituzione. La famiglia dell’alunno con disabilità avanza una “richiesta” su un individuo in base a quale parametri? La simpatia oppure il tasso di assenza del docente? Il dirigente scolastico valuta “l’interesse” del discente perché non può valutare il docente, a meno che non sia in anno di prova, in base alla normativa vigente. Il legislatore è sagace nell’usare questa sottigliezza di parole, ma dimentica che esse fanno riferimento a persone. Superiamo le discettazioni e facciamo qualche proposta costruttiva!
A questo punto, in nome della trasparenza e dell’imparzialità, la circolare dovrà dettagliare in maniera precisa quali siano i parametri di cui la famiglia dell’alunno con disabilità dovrà tenere conto per esprimere il “gradimento” del supplente, pagato con i soldi pubblici. Sarebbe opportuno che il Ds, che non è un tuttologo e molto probabilmente ha competenze scarse in ambito della pedagogia dell’inclusione, fosse coadiuvato, nella valutazione dell’interesse del discente, da organi intermedi specifici che già esistono in ogni scuola: la figura strumentale dell’inclusione “eletta” dal Collegio docenti, ovvero l’assemblea di tutti i professori, e il Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione (GLO). Anche l’operato del docente confermato per una sorta di chiamata diretta non solo dovrebbe essere monitorato dalla famiglia, ma anche guidato dai colleghi di sostegno specializzati di ruolo, come se fosse un garzone a bottega.
Infine, chi venisse confermato con questa modalità per almeno tre anni dovrebbe avere una scorciatoia, per così dire, per l’accesso ai corsi di specializzazione e garantire almeno tre anni di permanenza nella scuola dove ha fruito di questa legge.
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