L’istituto superiore Majorana-Arcoleo di Caltagirone, liceo scientifico e tecnologico, è il profondo sud d’Italia. Città patrimonio mondiale Unesco grazie al barocco della Val di Noto, ma anche espressione di quella Sicilia dove (fonte Save the children di poche settimane fa) la dispersione scolastica – leggi: minori che escono dal sistema educativo prima di averne assolto l’obbligo – è superiore al 21%, un ragazzo su cinque, quasi il doppio della media nazionale. Contesto socio-culturale difficile, mentalità arcaica, malavita organizzata in agguato.



Marco Pappalardo insegna da anni in quella scuola e ai suoi alunni ha dedicato un libro, Cara Scuola ti scrivo… L’attualità di Lettera a una professoressa (San Paolo, 2022) che ha due pregi: pagina dopo pagina è un invito palese al confronto, a mettere e a mettersi in discussione, a gettare via preconcetti e posizioni rigide; e poi, in 250 pagine non c’è traccia di una lamentela fine a se stessa. Una doppia rarità, in un momento storico in cui parlare di scuola (quando se ne parla…) è diventato una sorta di sport nazionale, lo spazio di un ring sul quale l’insegnante e/o l’alunno – a seconda dei casi – è diventato il pungiball preferito di tutti coloro che di scuola non vivono, cioè la quasi totalità del Paese.



E poi ci sono don Milani, Barbiana e quel suo libro che lo rese famoso e che gli procurò tanti guai. Eravamo appena alla vigilia della contestazione studentesca che, partita da posizioni spesse volte condivisibili (il nozionismo ad oltranza, la rigidità delle lezioni, l’autoritarismo docente), finirà in breve tempo col degenerare in barbarie sociale, oltre che scolastica.

Cos’è rimasto, di quelle pagine vergate dai ragazzi della Scuola di Barbiana, in una società che in oltre mezzo secolo è stata rivoltata come un calzino? Molto, secondo l’autore che, per rifare il verso a don Milani e ancor più per rispondere al desiderio dei suoi alunni di scrivere un libro su di loro, viviseziona la Lettera (una violenta accusa contro l’insegnamento selettivo degli anni Sessanta) passo dopo passo, ne confronta le esigenze e le storture di ieri con quelle di oggi, punta il dito contro un sistema che nega o negherebbe il famoso articolo 34 della Costituzione (“I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi…”), tiene vivo lo spirito che la dettò allora e che può essere ritenuto valido ancora oggi, tanto che il il professor Pappalardo l’ha proposta come libro di lettura in classe.



“Nessuno – questa la sintesi – deve essere lasciato indietro”. Una strutturazione semplice, suddivisa in brevi capitoli di lettura facile ma mai banale perché il testo prende spunto dalla realtà che il docente vive ogni giorno, senza scadere in voli pindarici degni dei soloni della pedagogia e della didattica che, chiusi nei loro confortevoli studi (magari all’interno del ministero dell’Istruzione), pontificano su “come si deve insegnare”, poco o nulla sapendo di cosa significhi stare al di qua e al di là della cattedra. Bene inteso: Caltagirone non è tutta l’Italia, così come gli istituti superiori non sono né le elementari, né le medie inferiori. Così come la Lettera ad una professoressa ben inquadra la scuola italiana di allora e che non necessariamente si rispecchia in quella di oggi. Anzi: tante, direi troppe cose sono cambiate e non sempre in meglio. Certo, il famoso “pezzo di carta” è (quasi) alla portata di tutti, non solo delle classi sociali “alte”: peccato, però, che a questa sacrosanta apertura quantitativa non abbia corrisposto un’analoga tenuta qualitativa, per cui il diploma è diventato ormai un pezzo di carta su cui, per ragioni diverse, non è più possibile contare.

Dunque è vero: il libro fa pensare, ragionare, riflettere, dibattere su tanti argomenti (l’apprendimento, la ricreazione, il giudizio, le promozioni, il fine stesso dell’insegnare e dell’apprendere, per fare qualche esempio). Perciò è utile dentro e fuori le aule scolastiche. Un libro sulla scuola, ma diverso dai tanti che a spron battuto sono usciti negli ultimi anni sull’argomento, scandagliato da tanti punti di vista senza che il sistema culturale (perché di questo si tratta) si sia preso la briga di mutare corso all’istruzione, sempre più annacquata e relegata ad ultima ruota del carro.

Ma qui vado lamentandomi e il professor Pappalardo non ne sarebbe contento, così come i suoi appassionati alunni. “Questo mio lavoro nasce dall’esperienza di ascolto che da anni vivo a scuola con gli alunni, dalle loro tante e varie domande, dagli innumerevoli temi scritti e letti, dai dialoghi in aula, nei corridoi, sui social” scrive il co-autore. Leggere per credere.

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