“Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”: è una nota affermazione di Papa Francesco in relazione alla pandemia. Ma allora, mi sono detto, per noi che viviamo la scuola, “peggio della didattica a distanza c’è solo il dramma di sprecarla” e mi sono permesso di chiedere agli insegnanti della scuola con cui collaboro come l’hanno vissuta. Ad anno scolastico praticamente concluso, è finalmente possibile guardare questo periodo con distacco emotivo, quindi con una certa oggettività.
In prima istanza, è emersa la domanda se fosse davvero necessario imporre la didattica a distanza a bambini della scuola primaria e a ragazzi della scuola secondaria di primo grado, quando fossero rispettate le norme di sicurezza, dispositivi di protezione e distanze. La didattica a distanza non è solo un ostacolo alla relazione; implica un travaglio non comune per le famiglie soprattutto dei più piccoli: genitori al lavoro, nonni alle prese col web, con Google Meet, col registro elettronico, con fotocopie da stampare, con compiti da digitalizzare e spedire. E grazie a Dio che ci sono i nonni!
L’apprensione per la salute fisica, in questo periodo, ha preso il sopravvento su ogni altro tipo di preoccupazione. Ma la persona è ben più che la propria attività fisiologica e la pandemia ce ne ha resi più che mai consapevoli, data la denuncia pressoché unanime di una mancata possibilità di “relazione”. E non a torto, perché la persona è, in quanto relazione. La persona, essere partecipato, è necessariamente in relazione con l’Essere assoluto, e quindi, in via transitiva, con tutte le persone che le è dato conoscere. Quando questa relazione viene a mancare, la persona avverte come una menomazione del proprio io. Ma la didattica a distanza azzera la relazione educativa e affettiva tra insegnante e alunno?
Una maestra mi scrive: “Mi sono adoperata per offrire ai bimbi e alle loro famiglie un tempo in cui fosse ancora possibile sperimentare il desiderio e la serenità di stare insieme. Nelle lezioni c’è stato spazio per le chiacchiere libere dei bimbi, anche se le difficoltà non sono mancate: la gestione di microfono e videocamera non è immediata neppure per questi piccoli nativi digitali e tutti vorrebbero essere ascoltati e guardati, tutti nello stesso momento! Nella prassi didattica mi sono dovuta sganciare dall’ansia da prestazione, dal fare cose eccezionali, puntando sugli obiettivi essenziali di ogni materia, per non perdere nessuno. Il mio desiderio era che nessuno si sentisse abbandonato. Se un bambino rimaneva indietro, ci fermavamo e lo aspettavamo, vincendo la tentazione di considerare questa pausa una perdita di tempo. Ciò ha permesso a un’alunna con difficoltà di apprendimento di rimanere agganciata, anzi proprio lei è diventata una delle più attive durante le lezioni, sia con contributi che con richieste di aiuto. Un’altra nota positiva a cui ci ha costretto la didattica a distanza è stata la necessità per i bimbi di argomentare i loro ragionamenti, i loro procedimenti, non potendo io controllare direttamente i loro elaborati”.
Un’altra maestra mi scrive: “I bambini sono stati molto bravi e tutti desiderosi sia di ritrovarsi che di lavorare. Si aspettavano di imparare cose nuove, avevano voglia di mettersi in gioco. Mi hanno chiesto: ‘Allora quando ci dai le nuove regioni da presentare?’, ‘Ma quando metti il link che io voglio fare geografia?’, ‘Ma se lo zero non è niente, allora meno tre cos’è? Non può essere meno di niente’, ‘Ti prego, oggi facciamo le guerre puniche?’, ‘Ma secondo te erano più forti i soldati romani o gli spartani?’. Insomma, i bambini mi sono sembrati vivi e vispi e io mi sono ripromessa di partire dalle loro domande, anche se questo mi costringe a deviare dalla programmazione prevista. Cos’è mancato? È mancato uno sguardo dettagliato su ognuno di loro. Per quanto si possa cercare di coinvolgere tutti quei 25 rettangolini, è stato difficile coglierne le sfumature, le difficoltà e le distrazioni come in presenza. Ho, quindi, chiesto ai bambini di mettere in gioco tutta la loro libertà: ‘Non c’è più la maestra che ti controlla, che ti tiene sul pezzo. Qui tutto dipende da te: con un clic puoi spegnere la telecamera, non scrivere, non disegnare, o fare tutto male, oppure puoi continuare a vivere con stupore tutto quello che stiamo scoprendo’. Ho capito che le cose funzionano e si può miracolosamente continuare a imparare anche così, perché c’è ‘connessione’ tra noi, una connessione nata prima della pandemia. Se i bambini sono connessi con la maestra, continuano ad esserlo anche in Dad. Se c’era già ‘poco campo’ prima, con la Dad ci sono più difficoltà”.
Un’insegnante di sostegno mi ha scritto: “Ho sempre visto e vissuto la bellezza del mio lavoro come un intreccio di relazioni e di vite che contribuiscono alla crescita reciproca e a un rinnovamento continuo. Una volta entrati in Dad il mio pensiero è corso subito a M. Come potevo arrivare a lui, che so faticare tanto davanti a uno schermo? Ho proposto alla famiglia lezioni in presenza per due giorni la settimana. Da parte dei genitori sollievo e gratitudine; da parte di M. la gioia e il piacere di venire a scuola, nonostante il difficile inizio, nella situazione ‘anomala’ di una scuola silenziosa e vuota. I due giorni di presenza sono presto diventati tre, considerando il persistere delle difficoltà di M. nella didattica in remoto. Ecco allora che in queste ore di didattica a distanza, che pure rimanevano, mi sono affacciata alla sua cameretta, scoprendo in lui il piacere di farmi entrare in casa, di farmi conoscere la sua gattina, potendo anche più facilmente confrontarmi con i genitori, condividere la loro sofferenza e aprire il cuore alla speranza. Ho capito che si può dare tanto anche così e che il mio lavoro si conferma tra i più belli del mondo”.
Certo, siamo tutti unanimi nel sostenere che la scuola deve essere vissuta in presenza e che la didattica a distanza è stato il rimedio meno peggio nella situazione di emergenza in cui ci siamo trovati. Ma la relazione, quella relazione così riscoperta e così decantata anche da chi della scuola ha normalmente una visione poco più che tecnicistica, se c’è, non può essere annientata dalla lontananza, perché ha radici nel cuore, determina legami invisibili che non si indeboliscono, anzi si rinsaldano a distanza. Ed è questo il premio più bello per la dolce fatica dell’insegnare.
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