Siamo a metà luglio e non c’è ancora nulla di definito sulla riapertura della scuola a settembre.
Certo, l’andamento dei vaccini non dovrebbe riproporci lo scenario allarmante che si è prefigurato lo scorso anno, ma in ogni caso è chiaro che anche il prossimo non sarà ancora un anno completamente a regime, poiché potrebbe esserci uno strascico imprevedibile nei numeri di contagi e, soprattutto, un allarme contagi nelle fasce più giovani.
Come ci stiamo preparando a questa evenienza?
Al momento in nessun modo. O meglio, al momento, solo supposizioni, uscite mediatiche, allarmi e rassicurazioni, ma nulla di programmatico o, perlomeno, un indirizzo politico generale lanciato verso le regioni, enti territoriali e mondo della scuola.
Il Cts, riunitosi nei giorni scorsi, non è riuscito a partorire nulla di diverso delle solite mascherine e distanziamento, riservandosi, ovviamente di dire cose diverse in caso la situazione peggiori. Altri (Cartabellotta, Fondazione Gimbe) hanno rilevato che nella fascia 12-19 vi è l’82,6% di non vaccinati, mentre Miozzo (consulente del ministro Bianchi, ex coordinatore del Cts) parla di “moral suasion” sul personale scolastico per le vaccinazioni e a tendere (quando? siamo a metà luglio…) all’obbligo vaccinale per il personale scolastico. Dimenticando che l’obbligo vaccinale richiede una legge del Parlamento, che non si capisce quando potrebbe essere approvata, vista anche la pausa-vacanze del Parlamento stesso. Di programmazione sui trasporti neanche a pensarci.
Soprattutto il ministero tace sul punto. Anzi, peggio. Abbiamo dovuto assistere ad un battibecco a distanza tra i due sottosegretari: di cui l’uno (Sasso) chiede chiarimenti su tracciamenti e monitoraggio, lamentando l’assenza di una programmazione, e l’altra (Floridia) ha rammentato al collega che si “sta lavorando” per garantire la riapertura a settembre. Come notazione generale, come costituzionalista non posso che rilevare che due colleghi di governo dovrebbero condividere lo stesso indirizzo politico, anziché litigarci sopra. Ma tant’è.
Ed allora, come spesso abbiamo visto, le regioni iniziano ad “andare in ordine sparso”: l’assessore all’Istruzione della Campania, Lucia Fortini, ha già dichiarato di pensare, almeno inizialmente, ad un mix di presenza e distanza (50%) in modo da valutare l’effetto sulla curva epidemiologica. Mentre il presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp), Giannelli, ha dichiarato che sarà inevitabile il ricorso alla Dad, poiché non è cambiato nulla a livello organizzativo.
Ora, è evidente che la situazione è molto complessa e nessuno si aspetta la bacchetta magica. Qualche riflessione in più sì. Ad esempio: come si può seriamente pensare ancora alla didattica a distanza dopo la presentazione del Rapporto Invalsi dei giorni scorsi? Giustamente il Corriere della Sera ha parlato di “Caporetto degli apprendimenti”: “Due quattordicenni su cinque (con punte del 50-60% al Sud) dopo l’estate entreranno alle superiori con competenze da quinta elementare. E ai loro fratelli maggiori che hanno appena tagliato il traguardo della Maturità va pure peggio: quasi uno su due è fermo a un livello da terza media, massimo prima superiore”. Ed ancora: come si può pensare di non riflettere su due anni interamente persi di didattica e socialità?
Come dicevo nessuno si aspetta la bacchetta magica, ma un’idea di ripartenza sì.
Provo a dire la mia. Perché non consentiamo all’autonomia delle scuole di progettare la ripartenza in presenza, sostenendola economicamente? Perché non consentiamo alle singole comunità scolastiche, ai collegi dei docenti, ai dirigenti scolastici di dirci cosa gli serve per riprendere l’anno in sicurezza, sotto la supervisione e il supporto/sostegno delle direzioni regionali? Le scuole lo scorso anno hanno addirittura anticipato, con i propri protocolli, le direttive del ministero, a dimostrazione del fatto che l’autonomia ha bisogno di spazio e fiducia per dispiegarsi. Dove non si riesce, interverrà lo Stato, secondo l’autentico modello sussidiario che la Costituzione prevede (art. 118, ultimo comma) ma che è così difficile mettere in pratica.
Avremmo così finalmente la possibilità di capire dove stanno i problemi e le difficoltà e supportarli in maniera adeguata, anziché continuare a partorire misure fordiste falsamente egualitarie che alla fine scontentano tutti e non risolvono i problemi. Se anziché comprare i banchi a rotelle avessimo dato il corrispettivo economico alle scuole, oggi esse avrebbero qualche strumento in più per affrontare la ripartenza, anziché i magazzini pieni di banchi che nessuno userà.
Rovesciando la frase di John Dewey, insomma, dobbiamo sperare che l’esperienza si traduca in apprendimento, anche per la scuola.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI