Man mano che passano i giorni del coronavitus, cresce il numero e l’intensità delle domande se e come la scuola a distanza debba valutare gli alunni, che da casa seguono lezioni online, fanno video chiamate, svolgono compiti, ecc. È possibile valutare in una scuola sospesa? Non è meglio aspettare che gli studenti rientrino in classe? Che cosa valutare di tutto quello che viene proposto e fatto in questo periodo? Quale validità possono avere le verifiche svolte a casa? Che cosa accade per gli alunni che nel primo quadrimestre hanno accumulato insufficienze? È possibile un loro recupero?
Due le posizioni estreme tra chi tende a rispondere operativamente a queste domande. Da una parte c’è chi non si smuove dalla routine valutativa dell’immaginario collettivo: pretende, per esempio, di interrogare oralmente e per iscritto, come se non ci fosse la distanza fisica tra gli alunni e il docente; oppure si limita ad inviare questionari e test, senza differenziare esercitazioni e verifiche. D’altra parte c’è chi si fionda nel magazzino delle tecniche, dei moduli digitali da compilare, delle strategie e delle “magie” dei registri elettronici, sperando di “cavarsela” in nome dell’oggettività informatica.
Per non restare in questa altalena, occorre, a mio parere, individuare e tenere presente dei punti fermi rispetto allo scopo e alla natura della scuola, all’identità e alla funzione della didattica a distanza, al senso e agli strumenti della valutazione. Ne elenco cinque.
1. Il primo, in sintesi, riguarda la scuola come comunità di insegnamento/ apprendimento: luogo, tempo, strumento dell’educare istruendo. In quanto tale deve favorire innanzitutto relazioni umane significative e autorevoli senza le quali essa non ci sarebbe. Ne consegue che, anche in questi tempi del coronavirus, sia le attività sia le modalità di lavoro proposto ai bambini e ai ragazzi devono avere lo stile, la tensione, le forme e i contenuti (essenziali) che affermano il primato della persona, delle sue esigenze, del suo essere in relazione.
2. Il secondo punto è un corollario del primo: se la didattica a distanza non fosse strumento a servizio di una simile intenzionalità, non sarebbe una vera didattica, cioè “arte del fare apprendere ad imparare e a conoscere sistematicamente” in un ambiente (trama di relazioni, opportunità, risorse) di apprendimento. L’esercizio di quest’arte a servizio del discente non può che essere contrassegnato dalla creatività, dalla responsabilità e dalla libertà personale del docente. Di simili proprietà in questi giorni sono segno, per esempio, le numerose re–invenzioni digitali promosse autonomamente dagli insegnanti con un duplice e, forse, inconsapevole obiettivo: documentare che i rapporti, anche quelli scolastici tramite internet, hanno bisogno di una voce e di un volto con cui interagire; affermare l’autonomia delle scuole e la libertà dell’educazione e della didattica.
3. Il terzo punto concerne il rapporto tra didattica e valutazione. Non c’è insegnamento senza un’adeguata, autentica, valutazione. Nell’ottica di una didattica libera, che la situazione attuale esige più che mai, ci rendiamo conto maggiormente del fatto che è necessaria e possibile una valutazione liberata dall’ideologia dell’egualitarismo, del buonismo, del tecnicismo, del fiscalismo …, cioè da tutto quello che potremmo individuare come segni della presenza del “doppio” : il valutatore che si impone nella prassi valutativa al docente magisteriale, di cui parla Reboul; potremmo paragonarlo ad un parente del coronavirus che infesta subdolamente il processo di valutazione. Tra gli indizi di questo strisciante intruso sottolineo: la riduzione della valutazione a misurazione e assegnazione del voto, la difficoltà (e/o rifiuto) di mettere in primo piano l’interesse dell’alunno rispetto al sistema e alla presunta oggettività dei processi e degli strumenti valutativi (in primis, registro elettronico).
Del resto la nota del Miur pubblicata l’8 marzo, dopo aver accennato alla dimensione inclusiva della scuola e ai Bes, ricorda “…peraltro che la normativa vigente (Dpr 122/2009, Dlgs 62/2017), al di là dei momenti formalizzati relativi agli scrutini e agli esami di Stato, lascia la dimensione docimologica ai docenti, senza istruire particolari protocolli che sono più fonte di tradizione che normativa”. Questa nota, oltre ad asserire che anche la scuola a distanza non può prescindere dalla valutazione, come dimensione intrinseca dell’insegnamento, ricorda che è competenza dei docenti procedere secondo criteri decisi liberamente mettendo in gioco se stessi. Il riferimento a decreti precedentemente nominati e l’inciso (“al di là dei momenti formalizzati relativi agli scrutini e agli esami di Stato”), ci fa capire che si sta parlando della valutazione formativa che non può essere predefinita in base a protocolli.
4. Il quarto punto comprende la distinzione tra valutazione formativa e valutazione sommativa. La prima si caratterizza non solo come la valutazione del, ma soprattutto per l’apprendimento. È la valutazione che è consapevole che la sua prima responsabilità è accogliere, motivare, valorizzare, servire ogni alunno nei suoi tentativi, nei suoi processi e progressi, nei suoi risultati. Alla valutazione sommativa, invece, interessa il voto al termine di unità di apprendimento, di un periodo (quadrimestre), di un anno di un ciclo (esami) scolastico. È la valutazione che maggiormente rischia di essere prigioniera del “doppio” di Reboul, quindi maggiormente condizionata dalla burocrazia, dal formalismo, dall’insegnamento come lavoro impiegatizio.
Il docente che attua la valutazione formativa (liberata) non accetta i ricatti del “doppio”, evita comportamenti come quelli del dott. Jekyll e Mr. Hyde anche in versione digitale. Sua preoccupazione è introdurre ad un metodo efficace e personale per imparare e conoscere. Per questo cura le prove (test e verifiche), è attento al processo valutativo, prima, durante e dopo ogni attività proposta. Sa che primo dovere dell’insegnante professionista è accompagnare l’alunno a cogliere il valore delle cose, i suoi punti di forza e di debolezza, a gestire risorse e limiti, a sviluppare i talenti e la capacità di giudizio personali. Cosa questa che le nuove tecnologie informatiche, nella situazione attuale, potrebbero ( e dovrebbero) facilitare. Paradossalmente anche tramite il digitale la valutazione formativa in itinere non è solo auspicabile, ma imprescindibile se vogliamo potenziare la capacità di giudizio e l’autovalutazione personale.
5. Il quinto punto ha come parola chiave proprio l’autovalutazione. Che cos’è la valutazione scolastica se non un aspetto di una facoltà tipica dell’essere umano, proteso a scoprire il senso, ad attribuire e riconoscere il valore delle cose e delle azioni? A che cosa serve un’interrogazione, un test se non a promuovere l’esercizio del giudizio, a casa, nella scuola, nella navigazione digitale?
In una scuola a distanza all’alunno che sta casa, separato da compagni e da amici, isolato con la sua famiglia, non servono il controllo, la minaccia del voto o della ripetizione dell’anno, se non è aiutato a cogliere il valore, a “fare” giudizio. Ha bisogno di essere guardato (e di accorgersi di essere guardato) e coinvolto come uno degli attori della valutazione (docenti, genitori, studente). Deve sapere che la valutazione non è contro di lui, ma per lui; che non intende classificare, ma promuovere; che non azzera le diversità, ma è stimolo alla personalizzazione, cioè ad imparare e agire da persona libera, responsabile, interessata.
A me pare che la situazione in cui stiamo vivendo sia una grande occasione per capire ulteriormente che occorre riconoscere e rispettare i protagonisti della valutazione non solo nella fase finale, quando viene comunicato un voto, ma nello svolgimento del processo valutativo nel suo complesso. Questo per essere effettivamente sensato, efficace, personalizzante ha bisogno che la raccolta e l’interpretazione delle informazioni sul lavoro in atto siano valide, che il giudizio venga formulato in modo trasparente, grazie anche a rubriche ben costruite e condivise con alunni e genitori. Si tratta di un’operazione che non esonera il docente dall’avere nella valutazione l’ultima parola. L’insegnante ha bisogno dell’alunno e del genitore, se vuole che la valutazione sia efficace, cioè promuova consapevolezza, responsabilità, soprattutto in una scuola a distanza, come quella che siamo costretti, almeno per il momento, ad attuare.
L’autovalutazione, segno del coinvolgimento dello studente, produce consapevolezza delle risorse e/o delle carenze; è fattore di qualità di apprendimento, capacità di (auto)controllo del processo, coscienza dei progressi e dei risultati nello studio. Su tutto questo, però, è necessaria la collaborazione di tutti i colleghi e dei genitori. Se l’alleanza scuola famiglia è fragile, discontinua, formale, soprattutto nell’attuale circostanza, il processo autovalutativo è precario o ridotto a generici questionari di superficiale soddisfazione, ad emoticon, a gesti pseudodemocratici, al sei “politico”.
Questi giorni di incertezza, di paure, ma anche di creatività e di ricerca culturale e didattica, possono essere giorni per implementare nella scuola la pratica dell’autovalutazione efficace dello studente, dell’insegnante e della famiglia; per bonificare il concetto di valutazione, liberandola da ciò che non le appartiene; per non dimenticare che si valuta per “fare” imparare da uomini.
Se questo accade già in queste settimane, allora nel momento della riapertura delle scuole non si cadrà in quella che stata definita “folle corsa alle verifiche e alle interrogazioni”; sarà più facile creare ed usare strumenti valutativi che narrano l’apprendimento e l’avventura della conoscenza, aiutano gli alunni a recuperare la posizione ottimale per colmare insufficienze, a coltivare interessi personali. In altre parole, adesso e dopo il coronavirus, grazie anche al digitale, la valutazione non sarà più una “maledizione”, ma una benedizione dell’insegnamento e dell’apprendimento.