Ad onta del suo stesso nome, la didattica a distanza rivela anzitutto al maestro acuto l’urgente bisogno di esprimere nel proprio fare scuola quella prossimità e quella contemporaneità che permangono come assolutamente necessarie nella relazione di lavoro con i propri studenti.
Naturalmente non si allude ad una vicinanza fisica, perché il bisogno di un bambino o di un ragazzo è ben più grande del pur rilevantissimo dato epidermico: è rispetto alle domande e ai bisogni degli studenti, è rispetto al loro desiderio di sapere (cioè di imparare che le cose, esattamente come chi si fa loro incontro, sono ricche di sapori e spessori), è alla loro sensibilità e alla loro intelligenza che il docente deve farsi prossimo e contemporaneo; e ciò accade anzitutto se è in ricerca egli stesso, se l’insegnante esprime cioè nel suo lavoro un atteggiamento che alimenta una costante domanda di significato, una domanda che sfida e solca ogni superficie di volta in volta raggiunta.
In questo le cose non sono affatto cambiate. Anzi, la condizione data può addirittura acuire l’attenzione nel tener dritta la barra verso questo essenziale, sprigionando le migliori fantasie per far scuola intercettando davvero la vita, cioè educando veramente attraverso conoscenze ed esperienze piene di senso, scavando insieme nella realtà per scoprirne il valore.
Ricchi dei metodi e dei contenuti delle discipline, docenti e studenti possono continuare a scoprirsi insieme in cerca di una strada e di un senso, sorretti da grandi domande, stimolati da una storia e da una tradizione, come sono le nostre, di inestimabile valore, seguitando a confidare nell’intelligenza e nella sensibilità gli uni degli altri per far presa, per restare attaccati alla realtà, per abbracciarla.
Per questo, trascegliendo con cura tra i repertori disciplinari, si mostrano ancora come imprescindibili nel primo ciclo di istruzione quei contenuti (e conseguentemente quei compiti da assegnare) che stimolino e sprigionino a trecentosessanta gradi l’intrapresa gioiosa, libera e creativa dei bambini e dei ragazzi, facendo leva sull’aspetto integrale della loro umanità.
Non solo dunque meri calchi o ripetizioni di quel che il maestro di volta in volta con accortezza propone entro i confini sicuri del suo dominio disciplinare; ma anche e soprattutto, secondo il modello pedagogico dantesco, quel “dimmi quel che tu da te ne pensi” (Par. II, 57), motore di un incessante, leale confronto tra generazioni e di una entusiasmante marcia di avvicinamento al vero.
Riscoprirsi insieme è la condizione imprescindibile per continuare ad imparare insieme: perché nessuno diventa grande, né nella conoscenza, né come persona, da solo. E nessuno, in questo, può mai dirsi davvero arrivato.