Siamo nella settima settimana di scuola online. Dopo la settimana di pacchi di compiti e di materiali per svolgerli e quella di euforia attivistica digitale (video, web conference, e-mail, chat, piattaforme), la terza settimana è stata quella della nostalgia dell’aula, del desiderio di ritrovare in carne ed ossa docenti, compagni, amici. Tra la seconda e la terza ha fatto capolino la questione della valutazione. Oggi essa si presenta in modo netto e deciso, anche grazie alla nota ministeriale del mese scorso, e il dibattito si fa più acceso non solo a livello istituzionale.



Purtroppo non sempre si arriva al nocciolo e ci si barcamena tra pratiche valutative della scuola selettiva e tentativi della scuola inclusiva. Non si capisce, a mio avviso, che abbiamo davanti una grande occasione per ripensare la scuola e la valutazione in termini di efficacia educativa, di istruzione personalizzata, di crescita integrale dell’alunno, di contributo all’umana convivenza. “Nella consapevolezza che nulla può sostituire appieno ciò che avviene, in presenza, in una classe” (nota ministeriale del 17 marzo) c’è infatti la possibilità, anche in una didattica a distanza, di proporre e verificare quando e come l’apprendimento diventa fattore dell’esperienza di ogni studente e di ogni docente.



Nel quotidiano delle nostre scuole la valutazione diventa risorsa educativa e didattica se contribuisce a creare un ambiente di apprendimento adeguato, significativo, autorevole, cooperativo. Quando parliamo di ambiente di apprendimento spesso ci si limita alla fisicità dei rapporti e dell’aula in termini riduttivi: lavagna, gesso, disposizione permanente dei banchi (per lezione frontale), studente inchiodato al suo posto. È insufficiente, oggi soprattutto. La stessa nota ministeriale del 17 marzo, da cui sto riprendendo il virgolettato, accenna al fatto che l’ambiente di apprendimento è da “creare, alimentare, abitare, rimodulare di volta in volta”. È una questione di arte didattica.



Purtroppo rischiamo di rintanarci nella nostalgia della fisicità e staticità dell’aula standardizzata su misura della scuola come caserma. Finiamo con il mettere una toppa nuova su un vestito vecchio. La prima a farne le spese è proprio la valutazione, che viene ridotta ad assegnazione dei voti, ad un “rito sanzionatorio”. Occorre liberarci da questa ossessione recuperando il senso della valutazione formativa in itinere e tenere a bocce ferme la valutazione sommativa.

Alla prima non interessa il voto, ma l’accadere dell’apprendimento. Giudica (cioè, valuta) senza classificare in base a livelli. Misura ma non condanna, non quantifica il sapere. È dono e compito per un nesso creativo tra insegnamento e apprendimento fino ad esigere, come è successo in una scuola media, il cambiamento del lessico. In questa scuola, per esempio, si parla di esercitazioni (invece di verifiche), di colloqui (non di interrogazioni), di giudizio, non di voti. Non perché il voto non conti, ma perché ritrovi il suo spazio logico e semantico altrove. Si tratta, insomma, di lasciarlo al suo posto: è al termine di un processo senza essere mai la meta e, nella valutazione liberata da fiscalismi e algoritmi, è una virgola.

Alla valutazione formativa interessa risvegliare consapevolezza di cosa accade quando si impara o non si impara. Per questo procede con attività costanti, “secondo i principi di tempestività e trasparenza che, ai sensi della normativa vigente, ma più ancora del buon senso didattico, debbono informare qualsiasi attività di valutazione”. Procede verso la meta che è l’apprendimento maturo (significativo, critico, sempre più autonomo). In questo modo diventa maestra di autovalutazione.

Alla valutazione sommativa, invece, importa giustificare secondo la vecchia docimologia il voto come un verdetto intermedio e finale. Che cosa può fare un docente, un consiglio di classe in queste settimane per promuovere e valutare esperienze di apprendimento?

Rispondo con delle esemplificazioni. Innanzitutto, i docenti dovrebbero scegliere e praticare la valutazione formativa con modalità che permettono all’alunno, che è a casa, magari in situazioni complicate (genitori che lavorano, lutti tra i nonni), di compartecipare da protagonista al “collegamento diretto o indiretto, immediato o differito, attraverso videoconferenze, video lezioni, chat di gruppo” eccetera.

È opportuno, per esempio:

a) in ogni collegamento fare l’appello, lasciare lo spazio per i saluti, introdurre brevemente l’ordine del giorno (contenuti, obiettivi, attività);

b) nelle video lezioni, strutturate e svolte a sequenze di apprendimento, porre domande pertinenti e coinvolgenti a livello cognitivo ed affettivo, far vedere oggetti e strumenti (soprattutto i piccoli hanno bisogno di oggetti, di azioni, di immagini più che di parole), richiamare i punti essenziali, invitare a brevissimi silenzi e pause, concludere con delle domande (Che cosa hai imparato? Che cosa ti ha colpito maggiormente? Come giudichi il lavoro di oggi?) che stimolino all’autovalutazione. Sono domande, che meritano una risposta.

L’alunno o è protagonista del suo imparare o non impara. Si capisce che è attore protagonista proprio perché impara sempre di più ad apprendere e ad autovalutarsi. L’alunno trascinato o portato in spalla, impossibile tra l’altro nella didattica a distanza, sta ad ascoltarci a corpo morto o insegue strategie di furbizia che gli permettono di fingere impegno e partecipazione.

Che fare? Passare dal controllo alla condivisione e da questa all’autovalutazione.

Non con le minacce, ma con il fascino di un insegnamento vivo risvegliamo il desiderio di conoscere. Anche nell’apprendimento il motore è l’attrazione che emana il docente testimone dei significati, della bellezza e del senso degli oggetti di apprendimento come veicoli verso e dentro il reale.

Esempi al riguardo sono la correzione e i cosiddetti corsi di recupero. Questi, in quanto parti integranti del processo valutativo, hanno un ruolo di valorizzazione, di indicazione a procedere con approfondimenti, con consolidamenti, con ricerche, in una ottica di personalizzazione. Per questo l’insegnante più che un arbitro, chiamato a sanzionare le irregolarità, è un allenatore che fa emergere quello che c’è di bello, buono, utile, vero nei compiti, nei tentativi dell’alunno.

In quest’ottica si passa dalla correzione, scritta o orale, al giudizio. Dal recupero come riproduzione di lezioni al recupero come riscoperta dell’inizio, dei passi fatti, degli obiettivi da raggiungere.

Il giudizio nella valutazione formativa è un paragone tra le evidenze (dei dati, delle informazioni raccolte), e le possibilità del soggetto stesso (V. Garcia Hoz). Nell’autovalutazione lo studente è coinvolto in questo paragone.

Al riguardo è molto importante costruire rubriche con gli alunni, mettendo in evidenza il descrittore di riferimento ideale in modo che in questa fase il giudizio non indichi il livello dei voti, ma espliciti le evidenze di quello che sta accadendo in un apprendimento di qualità. Per far comprendere qual è l’oggetto di apprendimento all’interno di una unità ho visto che è anche utile far costruire prove (esercitazioni, test), questionari sui punti essenziali. Tutto nell’ottica di cui mi raccontavano alcune maestre giorni fa: “Sono con te e per te con la voce e il volto. Nonostante la distanza”.

Nelle scuole secondarie l’autovalutazione, che non è affatto assegnarsi un voto, ha la stessa sorgente, ma forme diverse: la narrazione argomentata delle proprie vicende apprenditive, le griglie di autocorrezione, la riflessione critica su esperienze e su percorsi conoscitivi. Questi e altri dispositivi potrebbero favorire il coinvolgimento sostanziale. Questo sarebbe ancora più potente, per il nesso tra esperienza e apprendimento, se chiedessimo agli studenti anche di raccontare che cosa e come stanno imparando dall’emergenza attuale, a casa e tramite il digitale.

L’autovalutazione, dunque, si può insegnare e imparare riconoscendo in ogni alunno un co-protagonista delle attività didattiche a distanza, nella costruzione e uso di griglie di osservazione e di rubriche valutative, nella correzione dei compiti e delle verifiche, nella formulazione e comunicazione argomentata dei giudizi.

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