Visto da destra, visto da sinistra. La celebre rubrica sul “Candido” anni Cinquanta della premiata coppia Guareschi-Mosca è quanto di più attuale ci possa essere specialmente (ma non solo) nell’Italia provvisoria di oggi, dove la differenza tra provvisorio e definitivo è solo una questione semantica. Ultima vexata questio attorno alla quale si stanno accapigliando fior di deputati e d’intellettuali (le due figure non necessariamente coincidono) si chiama “merito” o, meglio, l’innovativa denominazione data dal neonato governo nazionale al Ministero dell’Istruzione e del Merito, già Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, già Ministero della Pubblica Istruzione a seconda del colore politico del governo in carica.



Dicastero presente già nel primo Parlamento italiano (primo ministro Cavour, anno 1861) e che per l’intera Prima Repubblica è stato appannaggio pressoché esclusivo della Democrazia Cristiana come unico baluardo di una cultura, variamente intesa, di cui i partiti laici o di sinistra avevano invece l’esclusiva. E’ bastata un’ora (o forse meno) dall’annuncio per bocca del nuovo capo del governo (son certo che non s’offende se non la chiamo capa, come forse vorrebbero le nuove conquiste e progressive dell’Accademia della Crusca) per scatenare un “apriti cielo” degno di miglior causa dai banchi dell’opposizione, veri o virtuali, dentro o fuori il Parlamento. Posizioni tutte – ribadisco tutte – suggerite più da astio ideologico e preconcetto politico che da una reale presa di coscienza della realtà.



Dunque (in estrema sintesi, perché come detto la cultura in Italia è a senso unico) citando un giornalista, una pedagogista, un sindacalista che vedono “da sinistra”: Saverio Tommasi su Fanpage.it (“Il merito non libera, distrugge, come se il sostegno alle scuole private con i soldi pubblici non fosse già abbastanza”: il Nostro finge di dimenticare che la legge non finanzia il privato, ma il non statale); Silvia Vegetti Finzi su Il Fatto Quotidiano (“È la proiezione di una scuola individualista e competitiva”); Maurizio Landini su Repubblica (“Uno schiaffo a chi parte da una situazione di disuguaglianza”). Così, per partito preso, senza nemmeno pensare che “merito” deriva dal latino “meritus”, cioè meritare, e senza stare a vedere (ma attendere i fatti sarebbe per loro tempo sprecato) cosa significhi nel concreto per il neo-ministro Giuseppe Valditara, il quale per altro ha ricordato da queste stesse colonne che il merito rientra fra i valori della Costituzione all’articolo 34: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.



Vi si parla di studenti “meritevoli” e di “diritto”, non di un “dovere” alla promozione. Perché qui, stringi stringi, sta il nodo che non si vuol sciogliere: quello di una scuola che nel giro di sessanta o settant’anni (lo spartiacque vero è il 1963 con il varo della scuola media inferiore) è passata dalla selezione più assurda (percentuali di promossi alla maturità inferiori al 20%) al “liberi tutti” che più liberi non si può (fermati alla maturità meno dell’1%) con esami di terza media che altro non sono che una presa in giro sia per chi sta in cattedra, sia per chi siede dietro un banco.

Numeri ministeriali, quindi ufficiali, che fanno a pugni con quelli di tutti gli istituti di ricerca (cito almeno Fondazione Agnelli), secondo i quali uno studente su 5 non conosce le basi della lingua italiana alla fine del proprio percorso di studi. Stiamo parlando della lingua madre, senza la quale è impossibile apprendere bene – è ovvio – anche le altre discipline. Eppure tutti gli alunni sono promossi alle elementari, praticamente tutti alle medie inferiori e quasi tutti alle superiori: com’è possibile?

Da queste colonne abbiamo scritto più volte di “buonismo” (lo studente è visto come un giocattolo fragilissimo da coccolare in ogni circostanza), di regole inesistenti (peggio: esistenti solo sulla carta, per cui non succede niente quando vengono infrante), di “ricatti” (del dirigente verso il docente, del genitore verso la scuola) messi in atto in vario modo, sommamente attraverso il ricorso al Tar di turno. E così spesso l’insegnante china il capo pur di non avere rogne. Qui non ci torniamo sopra.

Ma nemmeno vogliamo difendere a priori il nuovo ministro o il nuovo governo, perché anche noi vogliamo vederli alla prova dei fatti. Però una cosa è certa: almeno sul capitolo scuola mostrano l’intenzione di cambiare strada. Se saranno solo parole lo vedremo, ma continuare così serve solo ad una cosa, gravissima: tenere bene spalancate le porte proprio a quella istruzione d’élite che i partiti di sinistra e la stessa storia repubblicana intendevano – giustamente – cancellare. Ma se un diploma oggi viene regalato a tutti, senza selezione e senza distinzione (senza merito, appunto) che valore ha? E non è forse vero che, allora, chi può (per motivi economici, s’intende) sceglie gli istituti migliori (elitari) e chi non può rimane nel mucchio, contento di portare a casa comunque un diploma anche se rappresenta soltanto “un pezzo di carta” poco spendibile sul mercato?

Passiamo ai “visti da destra” (o solo dal buon senso) con un giornalista, un insegnante di scuola dell’obbligo, un professore universitario: Luca Ricolfi su La Verità (“L’abbassamento degli standard ha aumentato le diseguaglianze sociali”); Sciltian Gastaldi su Il Riformista (“Molti colleghi leggono ‘merito’ e pensano sia il contrario di ‘inclusione’. E’ un primo errore logico figlio di un pregiudizio politico”); Francesco Marini su AdnKronos (“Livellare verso il basso impedisce al capace e meritevole di accedere agli studi più elevati se non ha possibilità economiche. Questo è favorire le diseguaglianze”).

Chicca finale: perfino Antonella Viola, l’immunologa che ha saputo sfruttare le sue competenze (e il suo charme, diciamolo una volta!), ha voluto dagli schermi di La7 dire la sua sull’argomento: “Merito? Non è giusto. La scuola deve parlare a tutti”. E chi ha mai detto il contrario?

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