A fine agosto, nella mia scuola, sono state attuate le prove per la verifica delle materie il cui giudizio era stato sospeso agli scrutini di giugno. Si trattava delle materie insufficienti, che presentavano “debiti” da saldare grazie alle verifiche agostane. Ebbene, in alcune occasioni, siamo stati costretti a rimandare quelle prove, perché gli alunni erano in isolamento o in quarantena.



Adesso è iniziata la scuola e alcuni colleghi dirigenti mi raccontano di aver già dovuto attivare la didattica a distanza per alcune classi. È probabile che, a breve, data la virulenza delle nuove varianti, ricorreremo nuovamente ad essa, ma senza che sia stata fatta chiarezza. Quali saranno i modi della sua attuazione? Quale potrà essere la durata delle lezioni? Quali gli strumenti tecnologici più efficaci? Certamente le scuole autonome hanno provveduto e provvederanno a dare risposte, che sono di loro competenza, ma sarebbe stato opportuno che il ministero promuovesse, a tale riguardo, un dibattito, finalizzato a evidenziare soprattutto le finalità di apprendimento ed educative ragionevolmente perseguibili. Noi presidi avevamo avvertito che la Dad sarebbe ripresa, ma si è preferito riproporre lo slogan della “didattica al 100%”.



La Dad è stata sottoposta a una raffica di critiche come se avessimo potuto porre su di essa una pietra tombale. Il ministro Bianchi va dicendo che essa sarà usata chirurgicamente e che sarà adottata in misura limitata, ovvero circoscritta alle classi a rischio, ma mi chiedo: c’è qualcuno, al ministero, che possa informarlo di ciò che è effettivamente accaduto?

Nella maggior parte delle regioni italiane, quest’uso chirurgico è esattamente ciò che è stato fatto, perché nessun preside ha chiuso la scuola per la presenza di un alunno positivo in una classe. Né avrebbe potuto farlo, perché il servizio sarebbe stato ingiustificatamente interrotto. È accaduto invece che, in contemporanea, alunni di varie classi siano risultati positivi e che alcuni docenti siano stati costretti a tenere lezioni online dalle proprie abitazioni, mentre altri, a scuola, alternavano l’insegnamento a distanza, da determinate postazioni, con quello in presenza, per quelle classi che non erano state “messe” in Dad. Le scuole hanno compiuto vere e proprie acrobazie organizzative.



Molto è dipeso (e dipenderà) anche dai giorni di tracciamento, che adesso sono aumentati, particolarmente in caso di sospetta variante, perché la persona positiva può “trascinarsi dietro” un numero più o meno nutrito di persone. Andando a ritroso nel tempo per cercare di “ricostruire” i precedenti contatti, se si considera un arco di sette giorni di tracciamento, un alunno positivo potrebbe determinare la quarantena di tutti i professori della classe di una scuola superiore, i quali dovrebbero tenere lezione online. Analogamente, se invece fosse positivo un docente, potrebbero “entrare in quarantena” tutte le sue classi. Quante ne ha un docente? Quelli di Scienze motorie ne hanno generalmente nove…

Forse si pensa a misure di microchirurgia, che consentano di circoscrivere la quarantena solo ad alcuni alunni di una classe? Aspettiamo istruzioni, ma anche in questo caso non si avrebbe alcun “alleggerimento” organizzativo, perché una parte della classe continuerebbe le lezioni in presenza e un’altra a distanza. In questo caso, qualcuno preferirebbe parlare di un “appesantimento” organizzativo, anziché di un “alleggerimento”.

Molte critiche agli effetti della Dad sono ragionevoli e documentate. In particolare ricordo, su queste pagine, l’intervista al neurologo Carlo Alberto Mariani, che descriveva con precisione come la Dad sia poco efficace (forse inefficace) nell’attivazione dei neuroni a specchio, indispensabili all’apprendimento. Aggiungo che la socializzazione, necessariamente in presenza fisica, non è solamente uno dei tanti aspetti della vita scolastica, ma una condizione dell’apprendimento stesso. La necessità di una zona prossimale d’interazione tra insegnante e alunno è stata “scoperta” da Vygotskij e, unitamente al concetto di “scaffolding” (impalcatura) di Bruner, elaborato più recentemente, va nella direzione di affermare l’importanza della presenza. Non vado oltre, perché le ragioni di una compresenza fisica di alunni ed educatori sono attestate da 2.500 anni circa di storia della pedagogia. Ma tutto ciò ci esimeva forse dal dibattere sulle migliori strategie per utilizzarla, quando indispensabile?

Sulla Dad hanno gravato anche dei veri e propri pregiudizi. Se è vero che essa ha influito negativamente sugli apprendimenti, tuttavia è stata solamente una concausa, a lato di molti altri mali pregressi e acuiti dal lockdown.

L’esercizio di critica verso di essa ha trovato un facile consenso presso i sindacati, i quali, agli inizi delle chiusure, si sono opposti al suo uso, autorizzando un atteggiamento rinunciatario e di inerzia educativa da parte delle scuole. Alcuni docenti, inoltre, l’hanno rifiutata pregiudizialmente, perché si sono sentiti esposti, presso le famiglie, a causa di una sorta di “pubblicizzazione” dell’insegnamento. Se, da un lato, la ripulsa poteva apparire legittima, per preservare l’“intimità” che inerisce al rapporto educativo, dall’altro lato, dietro al rifiuto, si intravedeva anche la volontà di occultare la demotivazione o la scarsa cura delle lezioni. Si è finito, così, per fare della Dad un capro espiatorio e quel che è peggio, travolgendo, con essa, anche l’uso delle tecnologie digitali in quanto tali.

Forse è opportuno abbandonare la retorica del “tutti in presenza” e ripensare la rotta intrapresa nei mesi estivi.

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