“La Dad ha fatto crac”: questo è l’avvio di un articolo che commentava ieri, sul Corriere della Sera, i risultati delle prove Invalsi. Poi si sciorinavano i dati che dimostravano il peggioramento degli apprendimenti dei nostri alunni. Questa è la sostanza emersa: nonostante il generale aumento dei “cento” e dei “cento e lode”, per molti ragazzi che hanno superato l’esame di Stato è risultato difficile rispondere a domande Invalsi il cui livello appare adeguato ad alunni di terza media.



Alle medie, inoltre, coloro che raggiungono la sufficienza in italiano sono solamente 2 su 5 (la situazione è molto più grave al Sud). Ancora peggio in matematica: quelli che sono insufficienti sono quasi 1 su 2 (il 45%) e alle superiori più della metà (il 51%). Anche in questo caso, purtroppo, i dati del Sud sono ancora più drammatici.



Ma siamo proprio sicuri che questa situazione derivi solo dalla Dad?

Certamente, essa non ha favorito gli apprendimenti per alcune sue caratteristiche. Vediamole.

La Dad non offre gli stessi stimoli della didattica in presenza, anzitutto perché manca la prossimalità, che non è un ingrediente secondario. La socializzazione, infatti, nella sua dimensione fisica e di contatto, non è un mero supporto per l’apprendimento, ma una condizione fondamentale. I neurologi osservano, ad esempio, che la presenza innesca il funzionamento dei “neuroni a specchio”, i quali ben difficilmente sono attivabili, quando i compagni di classe sono ridotti a figurine sul monitor. Anche l’educazione sentimentale, ivi compresa quella sessuale, vive nella presenza ed essa rappresenta uno dei motori dell’apprendimento, che non si accende solo con la mente.



L’isolamento degli alunni di fronte al computer, infine, ha favorito la dipendenza da Internet, contribuendo a esacerbare la solitudine.

Potrei andare avanti, ma tutto ciò non basta a porre la Dad sul banco degli imputati, quanto meno senza che vi sia una chiamata di correità.

Anzi tutto, occorre francamente riconoscere che le rilevazioni Invalsi (e non solo quelle) già da anni evidenziano aspetti negativi in relazione ai dislivelli regionali di rendimento e alla forte varianza di risultati, anche in uno stesso istituto, tra alunni di classi diverse (la varianza, generalmente, è considerata come un segno della forte incidenza delle condizioni socio-familiari nella carriera scolastica degli alunni).

In sostanza, alcune novità negative (che, adesso, pur sono amplificate) non sono poi così nuove.

In questa prospettiva, forse non è inopportuno ricordare che la Dad è stata aspramente contestata dai sindacati, che l’hanno delegittimata, almeno nella prima parte del lockdown dello scorso anno. Forse anche questo ha inciso negativamente sulla sua attuazione…

In molte scuole, inoltre, la Dad è stata posta in essere con la stessa logica della didattica in presenza, anziché realizzarla con nuove modalità d’insegnamento. Forse sarebbe stato opportuno, da parte dei docenti, adottare alcune modalità della flipped classroom per renderla più efficace e cioè inviare agli alunni del materiale da studiare prima della lezione, per poi promuovere, in classe, delle esercitazioni in un contesto di maggiore interazione.

Solo pochi docenti hanno fatto questo, anche perché sarebbe stata necessaria un’adeguata formazione per tutti.

Ma, a proposito di formazione, forse vale la pena di ricordare che essa, definita come “obbligatoria, permanente e strutturale” dalla legge sulla “Buona Scuola” (comma 124, legge 107/2015), è stata poi affidata, secondo gli accordi contrattuali, ai collegi dei docenti. E così è decaduta, nei fatti.

Dunque, come ci si poteva preparare a insegnare in Dad?

In conclusione, acceleriamo la somministrazione dei vaccini per tornare in presenza, ma evitiamo di cercare facili “capri espiatori”: la Dad non può avere colpe retroattive per i mali pregressi della scuola italiana. 

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