Già durante tutto il periodo estivo e grazie al ritorno di un consistente turismo di massa, si sono lette e ascoltate numerose lamentele da parte degli addetti ai lavori intorno alla mancanza di personale disponibile a lavorare nei bar e nei ristoranti.
Ora, proprio quando ci si avvia al termine della stagione maggiormente coinvolta dai flussi turistici, il problema sembra addirittura aggravarsi e, non a caso, ad occuparsene sono in questi giorni personalità di primo piano dell’intero settore.
Ha iniziato Carlo Petrini, il fondatore e presidente onorario di Slow food, in un articolo su La Stampa dello scorso 23 ottobre prendendo in esame molte delle cause che sono alla base di questi problemi che alla fine si traducono in una scarsa attrazione che oggi il lavoro del cameriere o del barman sembra avere sui giovani.
Sul Corriere della sera del 25 ottobre sulle stesse tematiche è intervenuto il noto chef stellato e conduttore televisivo Alessandro Borghese, denunciando tuttavia anche la carenza, sempre più pressante, degli chef e in generale di tutte le altre figure addette anch’esse alla cucina. Borghese, in particolare, ha finalmente riscontrato nel comportamento illegale e irresponsabile di molti degli stessi titolari delle attività ristorative le maggiori responsabilità in merito alla fuga, da queste, da parte di molti giovani.
Chi scrive ha diretto per dieci anni un istituto alberghiero e già sette anni fa, insieme ai colleghi di Renaia, la Rete nazionale degli istituti alberghieri, prese in esame e pose all’attenzione, in occasione di un incontro nazionale che si tenne a Roma, questo problema che già si cominciava ad avvertire anche dentro le scuole, soprattutto in virtù della diminuzione delle iscrizioni proprio nell’indirizzo di Sala-Bar. E a tale proposito prendemmo le nostre misure, tese soprattutto ad implementare le competenze specifiche e trasversali.
Negli anni la diminuzione delle iscrizioni, anche per altri motivi e per altre responsabilità altre volte denunciate anche sulle pagine del Sussidiario, si fece e si è fatta sentire anche negli indirizzi di Ricevimento e di Cucina. Eppure, nelle lucide analisi sia di Petrini che di Borghese, per la prima volta da parte del mondo degli addetti ai lavori non è stata finalmente messa sotto accusa la scuola e la sempre supposta inadeguata preparazione dei ragazzi che da quella scuola uscivano e continuano ad uscire.
Che il lavoro nel mondo della ristorazione fosse sempre meno attrattivo lo si cominciava a capire anche dal fatto che sempre più numerose erano le presenze, nelle sale dei ristoranti e dietro i banconi dei bar, delle ragazze. E da sempre, nel nostro paese, quando una attività comincia a diventare “patrimonio” del mondo femminile, significa purtroppo che quel lavoro sta diventando sempre meno prestigioso e, di conseguenza, meno attrattivo per i maschi.
Anche l’interessante e ampia inchiesta apparsa a firma di Antonio Passanese sul Corriere fiorentino del 27 ottobre, mette in evidenza le vere cause che si celano dietro questa vera e propria crisi dell’intero settore. È, tra gli altri intervistati, Filippo Saporito, un altro importante imprenditore del settore e chef a sua volta stellato, a riconoscere che il fenomeno è dovuto soprattutto allo sfruttamento dei giovani lavoratori (da parte mia e per la mia esperienza direi addirittura al di fuori di ogni controllo), ad opera di molti imprenditori. Imprenditori, oserei dire, spesso improvvisati, perché attratti, soprattutto negli ultimi due decenni, dall’affermarsi del turismo di massa con relativo boom della ristorazione e pertanto in generale poco interessati alla qualità: beninteso a partire da quella relativa ai rapporti umani.
A tal proposito sembrano infatti nel tempo riemersi, a volte con una pervicacia degna della peggiore violenza che si respirava una volta in molti ambienti di lavoro propri della società pre-industriale, atteggiamenti, quasi sempre impuniti, di vero e proprio bullismo da casermaccia punitiva nei confronti dei dipendenti più giovani.
Questo mi raccontano molti miei ex studenti e studentesse che, non a caso e spesso i migliori, alla fine hanno preso la via verso i paesi stranieri, almeno in quelli dove il lavoro in nero è sconosciuto e dove viene apprezzata e valorizzata la professionalità di chi viene da un paese che sul piano del food and beverage gode ancora di molta stima. Paesi in cui viene spesso anche salvaguardata la dignità delle persone e almeno dove i controlli sul lavoro in nero sono realmente svolti— — — —
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