Negli stessi giorni il Governo ha affrontato una discussione sul disagio giovanile senza rendersi conto della schizofrenia delle posizioni che si coglieva nelle dichiarazioni di molti esponenti politici. Da un lato, in risposta ai fatti di violenza giovanile accaduti nel napoletano, si invocavano nuove misure penali per equiparare i minorenni agli adulti almeno nella repressione per chi usa pistole per danneggiare la vita di altre persone. Ma negli stessi giorni è arrivato a maturazione dal ministero della Istruzione e del Merito un disegno di legge che riforma la filiera formativa tecnologica.



Quasi nessuno ha collegato le due scelte. Nel caso della violenza giovanile ha prevalso la cultura della giustizia come vendetta. La cultura della pena come percorso di reinserimento sociale è ormai un vecchio ricordo delle minoranze contrarie al nuovo populismo bipartisan. La riforma, anche se per ora sperimentale per almeno il 30% degli istituti tecnici, crea quel percorso alternativo alla liceizzazione dell’istruzione secondaria che vuole certamente rispondere al problema del mismatching rilevato dalle imprese, ma può essere anche una leva importante per combattere la dispersione scolastica e la crescita dei Neet che riguardano i giovani delle zone più disagiate socialmente.



Entrando nel merito della riforma della formazione tecnica si coglie un importante passaggio culturale nel mettere al centro un’attenzione alla cultura umanistica nella prima fase, ma rendendo centrale nel percorso triennale il rapporto diretto con il lavoro. Il percorso formativo ridisegnato vede ridursi a 4 anni la durata della formazione superiore e poi la possibilità di saldarsi con due anni in Its Academy per raggiungere un livello terziario di formazione specialistica. La sperimentazione coinvolge anche il sistema della formazione professionale regionale che potrà accedere allo stesso schema 4+2 e partecipare alla creazione di campus dove far convergere diversi istituti e diverse specializzazioni dando vita a poli tecnologici formativi di eccellenza.



L’esperienza di lavoro come momento fondamentale del percorso formativo trova la sua realizzazione nell’aumento delle ore previste per la formazione on the job e in laboratorio con la volontà di abbinare a questi percorsi formativi l’utilizzo del contratto dì apprendistato di primo livello (apprendistato formativo) dopo i 15 anni di età.

Come avviene già ora negli Its anche gli istituti tecnici potranno assumere con contratti a termine docenti che provengono direttamente dal mondo produttivo per laboratori di attività tecnica e per lezioni specialistiche da inserire nei percorsi scolastici in aggiunta al corpo docente.

Il percorso prevede anche il più ampio ricorso all’autonomia scolastica per poter avere la massima flessibilità organizzativa e didattica. Ciò è indispensabile per poter perseguire l’obiettivo di avere una crescita delle esperienze di scambio formativo con istituti di altri Paesi, prevedere percorsi di istruzione tecnica in lingua straniera e stages di formazione anche presso realtà produttive all’estero.

La sperimentazione si prevede che parta dall’anno scolastico 2024/25 e quindi vedremo i risultati a partire dal 2030. È però un segnale importante che apre finalmente le porte al modello di formazione duale che caratterizza i Paesi con la minore disoccupazione giovanile.

Il nostro ritardo nel settore della formazione tecnica viene da lontano. Il sistema centralistico ha mostrato qui tutti i suoi limiti. Solo la riforma della IeFP e l’impegno di alcune regioni hanno permesso di tenere attivo un percorso formativo e scolastico indispensabile per supportare la domanda di manodopera delle nostre Pmi. Il disegno di sperimentazione presentato cerca di tenere conto di quanto, con interventi spezzettati, si era cercato di fare sui territori per merito di alcune regioni.

Con il 4+2 si porta nel sistema formativo tecnico nazionale l’esperienza che IeFP con gli IFTS e poi con i percorsi Its erano riuscite a ottenere in ambiti regionali. Ricordiamo che a fronte del crescente mismatching rilevato fra formazione dei giovani ed esigenze delle imprese i tassi di occupazione dei giovani provenienti da percorsi Its e IFTS dopo un anno superavano l’80%. L’indice di efficacia deve molto allo stretto legame che questi corsi hanno con il sistema di imprese del territorio e al forte ricorso all’alternanza scuola lavoro.

Il rapporto con il sistema di imprese presente nei diversi territori è determinante per l’individuazione delle figure professionali richieste, ma anche per avere uno scambio di esperienze on the job e il coinvolgimento diretto di tecnici per la fase formativa che assicura un costante aggiornamento delle tecnologie.

È sicuramente un buon inizio e dato che di sperimentazione si tratta vediamo come si può già ora pensare di alzare un po’ di più le ambizioni della riforma.

L’impostazione richiama il sistema duale di formazione professionale, ma non lo è ancora. Stante le competenze regionali per la formazione professionale e il lavoro è positivo che il sistema regionale IeFP sia coinvolto nella realizzazione dei campus e per la sperimentazione, ma ci si ferma un po’ prima di disegnare un unico sistema della formazione professionale fra istituti statali e quelli di diritto regionale. Il rischio è che ancora una volta le zone più disagiate restino più indietro e che i diritti dei giovani non siano egualmente riconosciuti nei diversi territori del Paese.

Resta poi non affrontato il nodo della parità fra percorsi scolastici. Chi non passa l’esame di stato (maturità in un istituto statale o riconosciuto) non può accedere all’università. È il lascito di un decreto regio fatto nel ventennio nero che ci trasciniamo ancora dietro e sarebbe ora di fare antifascismo utile invece che parolaio.

Last but not least la riduzione a 4 anni del ciclo superiore è talmente positivo che ci chiediamo: quando lo si introdurrà per tutte le scuole superiori per diventare un po’ più eguali al resto d’Europa?

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