Ancora una volta dai dati Istat sull’istruzione in Italia, pubblicati la scorsa settimana, appare uno scenario poco incoraggiante: la quota di popolazione con un titolo di studio terziario continua a essere molto bassa, il 19,6% contro il 33,2% dell’Unione europea. Il dato confrontato in prima battuta con la percentuale di occupazione dei 30-34enni laureati in Italia (78,9% contro l’87,7% dell’Ue) e con la quota di laureati 25-34enni nell’area delle discipline scientifiche e tecnologiche (24,6% contro valori decisamente superiori in Europa) porta a pensare che il nostro sistema terziario non stia rispondendo alle richieste del mondo dell’impresa e del sistema economico.
La questione è da molto oggetto di dibattito. Da tempo infatti le maggiori associazioni datoriali, prima tra tutte Confindustria, denunciano un’ormai endemica mancanza di tecnici di livello superiore, che ha raggiunto nel corso degli anni valori via, via crescenti, fino a costituire un ostacolo penalizzante per lo sviluppo tecnologico del Paese. È di questi giorni una interessante nota del Vicepresidente di Confindustria Brugnoli, che commentando i citati dati Istat suggerisce qualche possibile via di soluzione.
La formazione terziaria nel nostro Paese vede al momento un sistema accademico molto ben strutturato e con atenei di qualità, ma spesso lontano dal mondo dell’impresa, e il sistema degli Its (formazione terziaria professionalizzante) che, pur rispondendo in modo preciso e con tassi di occupazione elevatissimi alle richieste delle aziende, attualmente sforna 4.000 Tecnici superiori all’anno contro una richiesta stimata in circa 20.000.
Anche l’esperimento delle cosiddette “lauree professionalizzanti” iniziato qualche anno fa sta fornendo risultati modesti e non in linea con le richieste di flessibilità e di urgenza che provengono dalle aziende sull’innovazione tecnologica.
Quale la soluzione? La strada suggerita da Brugnoli potrebbe essere quella corretta: partire dagli Its che in questi primi dieci anni di attività hanno dimostrato caratteristiche di operatività e di grande rapidità di risposta ai cambiamenti tecnologici, in collaborazione con il mondo dell’impresa, per dare struttura al sistema terziario.
Deve essere ricordato infatti che gli Its, nati nel 2008 e operativi dal 2010, si basano su fondazioni partecipate sia dal mondo della scuola e dell’università, sia dagli enti locali e soprattutto dalle imprese e che nella struttura dei corsi biennali sia le docenze provenienti per il 50% dal mondo del lavoro, sia l’importante pacchetto di ore previste in azienda in tirocinio o apprendistato assicurano una preparazione “sul campo” in grado di conferire proprio quelle competenze operative ora più che mai richieste dall’evoluzione tecnologica.
Ma, cos’ha frenato in questi anni lo sviluppo di questa formazione che sta dando risultati qualitativamente eccellenti? I punti critici sono stati recentemente citati in un “position paper” recentemente diffuso dalle maggiori Fondazioni Its italiane:
– Quadro normativo disorganico e inadeguato, caratterizzato da una non precisa collocazione all’interno del sistema dell’istruzione nazionale.
– Irrisolti elementi di divergenza con il sistema universitario – sovrapposizione di competenze con le lauree professionalizzanti -, mancanza di un effettivo sistema di riconoscimento dei crediti e di un organico processo di recupero dei dropout universitari attraverso il sistema Its.
– Piano di comunicazione insufficiente: la gran parte delle famiglie italiane non conosce l’esistenza degli Its.
– Precarietà della struttura organizzativa dovuta a finanziamenti scarsi ed erogati senza continuità temporale. Si pensi che tutti i corsi Its sono finanziati annualmente “a bando” e la principale fonte di finanziamento è il Fondo sociale europeo attraverso le quote messe in campo dalle varie regioni.
– Insufficiente integrazione e allineamento con le politiche nazionali di sviluppo industriale.
In buona sostanza, quindi, se si vuole uscire da una situazione che vede il sistema produttivo nazionale soffrire una sempre più problematica mancanza di tecnici preparati, sono necessarie scelte politiche urgenti e importanti anche e soprattutto per il sistema Its.
L’occasione della “ripartenza” dopo l’emergenza Covid-19 potrà offrire un ottimo trampolino per rendere stabile e aumentare in modo importante i numeri dei diplomati Its e al contempo rendere stabile e organico il settore Terziario professionalizzante dell’istruzione italiana.