Nella società della conoscenza, la distinzione fra competenze disciplinari e trasversali non basta più: si creano dei profili professionali caratterizzati da diverse combinazioni di conoscenze e abilità, in cui decresce l’importanza della componente tecnico-professionale pura e cresce il peso delle competenze cognitive, sociali e contestuali: a fare la differenza non sono le conoscenze specialistiche, che vanno costantemente aggiornate e trasferite a contesti diversi, ma «le competenze che attengono alla sfera cognitiva e relazionale dei soggetti e alle caratteristiche più soggettive, come motivazioni e immagini di sé». Istat ci bacchetta per l’ennesima volta perché siamo drammaticamente indietro.



Il potenziamento di un diverso insieme di competenze richiede di ripensare il ruolo della scuola, naturalmente della Pubblica amministrazione e il mercato del lavoro, che nella prospettiva relazionale si devono confrontare continuamente con gli stimoli che provengono dalla società globale: le fasi e le agenzie educative e formative diventano nodi di una rete, e i concetti di educazione, socializzazione e comunicazione indicano dimensioni differenti dell’unico processo di formazione della persona, a cui concorre una molteplicità di relazioni in cui famiglia scuola, imprese, agenzie non sono più mondi autoreferenziali, ma stipulano un patto formativo, confrontandosi con il ruolo dei nuovi media (i social, le tecnologie mobili), sempre più pervasivi nella vita quotidiana.



Il Sistema nazionale di certificazione delle competenze nel suo complesso deve guardare certamente agli elementi di occupabilità delle persone. Per le Regioni e le Pa si inserisce nel quadro dei servizi di orientamento/accompagnamento al lavoro/formazione/aggiornamento delle competenze. Proprio alla luce dell'”Approccio sostanziale” richiamato dalle Linee Guida nazionali, (decreto 5 gennaio 2021) l’attenzione alla completezza dei livelli attuativi dovrebbe quindi essere prioritaria. In logica integrata e lontano da impostazioni deterministiche di servizi e procedure: certamente il Sistema di certificazione delle competenze è fortemente sollecitato in ogni territorio da strumenti innovativi come la Skill Gap Analysis. Essa è nata nell’ambito di GOL, ma riserva potenzialità di sviluppo e di applicazione enormi, puntando ad analizzare nel dettaglio le competenze possedute da un soggetto con l’obiettivo di riparametrare il bagaglio di competenze in funzione del mercato del lavoro locale, attraverso l’individuazione di un set mirato di servizi di politica attiva.



Ancora in ottica integrata, il Sistema volge lo sguardo verso il mondo digitale, che fornisce strumenti di raccolta degli attestati rapidi ed efficaci: è il caso dei c.d. “Digital Badges”. Questi pongono non solo una questione prettamente tecnologica: i Digital Badges raccolgono attestazioni di competenze acquisite con informazioni sintetiche relative al modo e ai risultati, e si fondano anche sul concetto di “referenza”. Questo rende non solo rapido ma anche “credibile” la condivisione delle competenze: il perimetro si traduce, ad esempio, in termini di approccio tipico del Sistema Duale.

Sarebbe utilissima un relazione/monitoraggio delle varie regioni che hanno adottato e applicato le Linee guida nazionali per sostenere un metodo che aiuta il mercato del lavoro a incontrare domanda e offerta di lavoro peraltro individuato nel Pnrr. Il processo di individuazione, validazione e certificazione delle competenze (Ivc) maturate in contesti formali, non formali e informali non può essere trattato semplicemente come un atto amministrativo, perché documenta anzitutto lo sviluppo dell’identità personale e contribuisce a promuovere l’autovalutazione e l’orientamento di ciascuno. L’Ivc è un processo che possiede un altissimo valore formativo e pedagogico nel quale la persona viene posta al centro. C’è da augurarsi che il sistema di Ivc possa finalmente mettersi in funzione a pieno regime dato che, come precisa oltretutto il documento nazionale, dall’adozione delle Linee guida non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e per la loro attuazione gli enti pubblici titolari provvedono nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente. E il Pnrr dà una mano a chi finora non si è mosso in tal senso con l’alibi che non c’erano risorse.

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