In queste settimane così difficili per il nostro Paese nelle quali tutti gli sforzi, fisici, intellettuali, emotivi ed economici sono indirizzati a trovare gli strumenti, le risorse e le strategie per uscire dall’emergenza coronavirus, molti di noi sono costretti a casa. Tutto quello che conoscevamo e che ci caratterizzava, che ci dava concretezza e ci teneva attaccati alla realtà si è interrotto, fermato, congelato nell’attesa di riprendere a funzionare.
Abbiamo scoperto, o meglio stiamo sperimentando finalmente, il telelavoro e lo smart working, le videoconferenze, le videochiamate per lavorare, per parlare con colleghi, per completare il programma scolastico e per non perdere i rapporti umani nell’era del distanziamento sociale, insomma per continuare a lavorare e vivere.
In molti Paesi queste modalità di lavoro sono utilizzate nella pratica quotidiana da anni. In Italia siamo ancora restii all’utilizzo perché scontiamo anche in questo campo dei seri ritardi. Nonostante gli sforzi in questi ultimi anni per colmare il divario digitale, l’emergenza che stiamo affrontando ci ha messi davanti agli scarsi risultati raggiunti; circa un terzo delle famiglie non possiede un computer o un tablet, solo il 22,2% delle famiglie ha un dispositivo per ogni componente della famiglia e ci sono intere aree della penisola non coperte dalla banda larga.
La lunga chiusura delle scuole e delle università ha reso evidenti la capacità di resilienza e le potenzialità di innovare che il settore ha dentro di sé. Occorre far tesoro di queste esperienze rielaborarle e valorizzarle per il futuro, o meglio sin da subito avviare una seria discussione, con tutti gli attori coinvolti, su come applicare su larga scala le nuove modalità di effettuazione dell’attività lavorativa, su nuove modalità di svolgimento della didattica, su come sfruttare la tecnologia per raggiungere molti degli obiettivi Onu inseriti nel l’Agenda 2030. Abbiamo visto tutti quanto la drastica riduzione dell’attività produttiva e della mobilità delle persone in Cina abbia avuto effetti benefici sull’inquinamento e possiamo far tesoro di questa esperienza per affrontare l’emergenza climatica con intelligenza riducendo al minimo l’impatto che la riconversione energetica e le misure per ridurre l’impatto ambientale dell’attività economica avranno sui livelli e la qualità dell’occupazione.
L’istruzione e la formazione rappresentano la miniera del futuro e su questo il nostro Paese deve fare molto di più Com’è possibile tutto questo? Investendo sulle competenze. Da anni si susseguono gli allarmi sui ritardi del nostro Paese in termini di skills mismatch, di dispersione scolastica, di analfabetismo funzionale degli adulti, di percentuali di giovani che non studiano, non lavorano, e non si formano, cosiddetti Neet, di una formazione continua inadeguata per i nostri lavoratori.
Si può condannare un Paese al ritardo non solo adottando decisioni sbagliate, ma anche decidendo di non agire. Per anni, ci siamo sentiti dire che il nostro sistema pubblico era troppo pesante, costoso, inefficiente, ma invece di ridurre le spese improduttive ce la siamo presa con il personale, bloccando il turnover e la valorizzazione del lavoro, accrescendo il precariato e trovandoci con gravi problemi di garanzia di diritti fondamentali come quello alla salute e all’istruzione. Questa emergenza sanitaria ci deve insegnare che investire in questi settori non è una spesa, un costo improduttivo ma sono essenziali per la crescita economica, civile e sociale dell’Italia. Questo vale in primo luogo per la spesa in istruzione, ricerca e innovazione.
I cambiamenti vanno anticipati e accompagnati, abbiamo bisogno urgente di formare competenze nelle aree tecnologiche che saranno più sottoposte alle trasformazioni della quarta rivoluzione industriale e contemporaneamente formare competenze che potranno accompagnare la rivoluzione ambientale, cioè la riconversione dell’economia verso modelli di sviluppo sostenibile per compensare la perdita di posti di lavoro in attività produttive che diventeranno obsolete con altre che invece saranno sempre più attrattive per lo sviluppo dell’economia sostenibile e dell’economia circolare.
In questo quadro un ruolo centrale avrà sempre di più l’orientamento. Inteso non come mero adempimento burocratico, ma come un’attività strategica per indirizzare, nel rispetto delle attitudini, potenzialità, talenti di ogni ragazza/o, le scelte verso aree di indirizzo ad alta tecnologia e alta potenzialità occupazionale. Dobbiamo aumentare in modo sostanziale la spesa in istruzione, per potenziare il sistema integrato dalla fascia 0-6 fino all’università. È necessario dotare il nostro Paese di edifici e ambienti scolastici sicuri, innovativi, e inclusivi, e ampliare il tempo scuola in tutta la penisola. È necessario investire nel potenziamento della filiera professionalizzante secondaria e terziaria per garantire un’occupazione altamente qualificata e contrattualmente valorizzata e abbattere la dispersione scolastica e il rischio di emarginazione sociale ed economica di ragazzi. Un serio sistema di orientamento e una filiera professionalizzante di qualità, con un’offerta presente su tutto il territorio nazionale, sono due strumenti strategici per ridurre il numero dei Neet in Italia. Più di due milioni di risorse umane sprecate, inutilizzate, un bagaglio di competenze inespresse che il nostro sistema economico, produttivo e sociale non può più permettersi.
Abbiamo molti strumenti oggi a partire dall’Atlante del lavoro e delle qualificazioni che ci permettono di conoscere in modo dettagliato le qualifiche professionali riconosciute nel Paese, le singole competenze e abilità necessarie per acquisirle e incrociando questi dati con le comunicazioni obbligatorie dell’Inps possiamo sapere quali sono le qualificazioni più ricercate e attraverso l’orientamento possiamo aiutare i giovani a coniugare le loro passioni con i lavori richiesti dal sistema economico-produttivo. Non si tratta di accettare passivamente la domanda delle imprese, ma di far incontrare questa domanda con l’offerta per ridurre il mismatch di competenze. Nessuno potrà mai essere forzato a intraprendere un percorso che non gli si confà, ma ampliando l’offerta di orientamento soprattutto verso le filiere meno conosciute o considerate ancora dalle famiglie e dagli studenti percorsi di serie B possiamo risolvere molte delle criticità del Paese a partire dal ridurre l’abbandono scolastico, rimotivare i ragazzi/e a rischio dispersione, elevare le competenze e combattere la povertà educativa di giovani ed adulti.
È necessario quindi prevedere in un futuro investimenti adeguati per i sistemi di istruzione e formazione per ridurre le disparità territoriali e garantire in tutte le Regioni stessi livelli di qualità del servizio, soprattutto riguardo alla filiera professionalizzante (Iefp, IP, IFTS, ITS e lauree professionalizzanti) per non trovarci ad affrontare nel prossimo futuro “un’emergenza competenze” che mieterà molte vittime condannando giovani e adulti all’emarginazione sociale ed economica perché in possesso di competenze inadeguate, basse, obsolete, non più utili che li relegheranno a lavori sottopagati.
Facciamoci trovare preparati questa volta e proviamo ad anticipare i cambiamenti invece di subirli.