Il sistema scolastico italiano è centralistico, burocratico, verticistico ma ammette la libertà di fare quello che sii vuole nelle classi perché l’insegnamento è libero, certo nell’ambito dei programmi decisi al Ministero. È soprattutto refrattario a qualsiasi misurazione di efficacia perché qualsiasi sia il sistema scelto ci direbbe che ha al centro gli interessi di chi vi lavora e solo in seconda o terza battuta vengono quelli dei discenti.



Il risultato che ci indicano le valutazioni fatte da organismi internazionali è che sprechiamo molte risorse. Continuiamo a farci forza perché escono dalle nostre scuole molte figure di alto valore e capacità. Tralasciamo che molti vanno poi all’estero per avere pieno riconoscimento del loro valore. Resta che il sistema dietro le eccellenze mostra voragini di diseguaglianze fra nord e sud e fra diversi percorsi di formazione.



Una presa di coscienza di questi problemi è presente nei progetti riferiti alla formazione tecnica nel Pnrr. Una delle riforme previste è quella finalizzata a rendere più efficaci i percorsi degli istituti tecnici per correggere una stortura italiana che favorisce la liceizzazione dei percorsi di formazione secondaria.

Detto e fatto anche questo Governo, che pure non brilla per coraggio nell’attuazione della parte di riforme legislative prevista dal Pnrr, ha impostato una riforma della formazione tecnica proponendo un nuovo modello da sperimentare nei prossimi 4 anni per poi introdurlo definitivamente con le correzioni del caso.



La sperimentazione proposta ha tre punti di innovazione. Porta la durata dei corsi a 4 anni rispetto ai 5 attuali. Introduce la formazione al lavoro (non chiamiamola più alternanza) con un tentativo di rafforzare il sistema duale (scuola-lavoro) che è molto debole in Italia. Salda il percorso tecnico secondario con gli ITS Academy per dare con altri due anni di frequenza una formazione tecnica specialistica di livello terziario.

Il modello proposto si propone così di rispondere all’evidente inefficacia di molti percorsi formativi attuali visto che il mismatching formativo denunciato dalle aziende viaggia a percentuali doppie rispetto ai Paesi dove il sistema di formazione duale funziona da anni.

Forze sociali, rappresentanze del lavoro e delle imprese, insomma chi si occupa di lavoro e politiche della formazione professionale, ha subito appoggiato lo schema di fondo della sperimentazione riformatrice.

Data la centralizzazione del ministero della Scuola si può pensare che, come avverrebbe in un Paese normale, a fianco dell’ufficio dove la politica traccia le linee della riforma vi sia un ufficio dove si fanno le regole attuative. In fondo ogni cambiamento chiede che vi sia un amministratore delegato che risponda della attuazione di quanto deciso e che debba la sua carriera alla capacità di attuare i programmi che gli sono affidati. Niente di tutto ciò sta succedendo. Il consiglio scolastico che ha poteri consultivi non ha consigliato come fare al meglio, ma ha bocciato la proposta. Non ha poteri di veto, ma di diventare la scusa per tutti i livelli inferiori per rinviare le decisioni e lo sta già diventando.

Infatti, a ruota i presidi e direttori di distretti scolastici hanno sollevato dubbi e poi come si fa sotto le feste a mettere all’ordine del giorno un cambiamento così significativo? Meglio rinviare tutto almeno di un anno è la richiesta, spero inutilmente, avanzata.

È toccato così al Ministro stesso ricordare che la scuola è per gli studenti e che una sperimentazione che durerà 4 anni toccherà indubbiamente quanti si stanno orientando a iscriversi a un percorso tecnico. Allora diventa importante fin da ora chiarire alle famiglie, parliamo della scelta scolastica per ragazzi di 14 anni, cosa potranno incontrare di nuovo nel percorso formativo che stanno scegliendo per i figli. Il prevalere dei compiti burocratici e ripetitivi di chi dirige i gangli del nostro sistema scolastico ha reso insensibile il sistema alle scosse di riforma. La reazione prevalente è sempre di rifiuto con forme di resistenza passiva che rendono complicato anche il più semplice cambiamento.

Da tempo si cerca una strada che dia maggiore autonomia agli istituti scolastici facendoli responsabili dei risultati ottenuti, dando però in cambio la libertà di organizzarsi meglio e di reclutare i propri insegnanti (ci fosse anche modo di legare gli stipendi a maggiore produttività dell’istituto si affronterebbe anche il ritardo degli aumenti contrattuali attesi).

Purtroppo il ritardo per una riforma di sistema continuerà ad accumularsi. Nel frattempo, però, la riforma dei percorsi tecnici statali deve coordinarsi con il sistema della formazione professionale che fa parte delle deleghe delle regioni. Il sistema regionale ha anch’esso luci e ombre. Dove ha prevalso la centralità dei dipendenti delle scuole c’è un sistema debole e che soffre, come quello statale, di un completo scollegamento dal sistema produttivo. Dove la centralità è stata data alla scelta delle persone e si è data la possibilità di creare nuove offerte di formazione professionale è decollato un sistema di IeFP, IFTS e poi di ITS Academy che mostra una grande capacità di fare corsi con sbocchi di occupazione finali a livello della rinomata Università Bocconi.

La scelta politica della Regione Lombardia che ha già deliberato per far sì che il sistema della formazione professionale lombardo possa da subito allinearsi alla sperimentazione nazionale ci dice della differenza fra chi ha lavorato per un modello che difenda la scelta delle famiglie, il dialogo scuola-imprese e il successo occupazionale dei ragazzi. Non è un caso che sia l’unica regione già pronta alla sperimentazione. Basta guardare i risultati del sistema duale del nostro paese. L’80% dei ragazzi che possono fruire di un modello scuola-lavoro effettivo si trova in Lombardia e provincia di Bolzano.

Possiamo augurarci che il sistema delle regioni passi a valutare le best pratices esistenti e che per il 2024 la scuola tecnica e professionale italiana diventi un esempio di riforma possibile senza rinvii, né sabotaggi burocratici.

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