I sistemi di istruzione e formazione professionale possono, o almeno dovrebbero, svolgere un ruolo di primo piano nel rendere le società, a partire da quelle del Vecchio continente, più eque, più inclusive e più prospere. L’istruzione può, infatti, rafforzare la coesione sociale e rendere l’economia di un Paese più resiliente.



Molte ricerche in questo campo dimostrano appunto che l’accesso a un’istruzione di qualità da parte di bambini e giovani provenienti da gruppi a basso reddito contribuisce in maniera significativamente a contrastare la disoccupazione e a rompere la “catena” intergenerazionale della povertà.

Tali obiettivi possono però essere conseguiti, tuttavia, solo se i sistemi di istruzione e formazione sono realmente equi e inclusivi. La scuola deve, o perlomeno dovrebbe, in questa prospettiva, garantire che tutti i ragazzi abbiano le stesse opportunità di successo e possano realizzare il loro potenziale indipendentemente dalle caratteristiche personali e dal contesto familiare, culturale e socioeconomico di provenienza come ribadito anche nei principi del pilastro europeo dei diritti sociali.



Partendo proprio da questi presupposti la Commissione europea ha presentato una proposta di raccomandazione sui percorsi da perseguire il miglioramento dei tassi di successo scolastico tra i giovani. L’ambizioso documento si propone di “slegare” il livello di istruzione e il rendimento scolastico dallo status sociale, economico e culturale, di ridurre la percentuale di studenti con risultati insufficienti e di coloro che abbandonano precocemente l’istruzione e la formazione al fine di raggiungere i traguardi già immaginati a  livello comunitario per il 2030  per lo spazio europeo per l’istruzione, di promuovere un’istruzione e una formazione inclusiva che sia in grado di tenere insieme equità, qualità, rendimento scolastico, impegno, benessere a scuola, salute mentale e fisica e rispetto per la diversità e di sviluppare ulteriormente la comprensione degli elementi che consentono di promuovere, allo stesso tempo, i risultati scolastici e il benessere, con particolare attenzione per i giovani provenienti da contesti svantaggiati.



Sembra quasi di risentire le parole di Tony Blair quando sosteneva che la priorità assoluta del suo Governo “era, è e sarà sempre l’istruzione, l’istruzione, l’istruzione”. Questo serviva, a suo parere, per rendere la Gran Bretagna una società che tornava ad apprendere, sviluppando i talenti e aumentando le ambizioni di tutti i giovani. Ricordava, inoltre, che in una buona scuola i bambini acquisiscono gli strumenti di base per la vita e il lavoro oltre a imparare la gioia della vita: l’euforia della musica, l’eccitazione dello sport, la bellezza dell’arte, la magia della scienza.

Sottolineava poi il Premier inglese che in una buona scuola si impara il valore della vita e cosa significa essere cittadini responsabili. Di tutto questo sembra, ahimè, non si parli più nel dibattito politico italiano. Sembra, infatti, che la politica abbia dimenticato, come ci ricorda anche la proposta della Commissione europea, che la povertà, tema centrale nelle diatribe di questi giorni, si sconfigge prima di tutto con formazione e istruzione di qualità.

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