Il tema della libertà di educazione e del ruolo delle famiglie non sembra al momento al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica o dei partiti: come direbbero i nostri ragazzi #scuolalibera non è fra i trend topic del momento! Per questo assume particolare importanza il lavoro di Articolo 26 (l’articolo della dichiarazione dei diritti dell’uomo che riguarda appunto la libertà di educazione), un’associazione di genitori che si batte per difendere, o per rivendicare, il diritto/dovere delle famiglie a educare i propri figli coerentemente con i valori che li ispirano.



Fra le molte iniziative di questo associazione giovane e combattiva (l’età media è notevolmente abbassata dai numerosi bambini) c’è ormai da cinque anni un convegno, Todi-Edu “Educare per il domani”, che guarda all’educazione e alla scuola attraverso la lente d’ingrandimento della libertà educativa dei genitori. Se è vero che “la bellezza salverà il mondo”, l’organizzare il convegno in quella che è stata definita dal Center for Sustainable Cities della U.S. Kentucky University “la città più vivibile del mondo” fornisce un formidabile asset: genitori, docenti ed educatori che si trovano per discutere insieme sul ruolo della scuola e della famiglia lo fanno in un ambiente d’eccezione.



Se il tema di fondo è sempre “educare per il domani”, ogni anno si cerca un approccio particolare legato all’attualità, e si chiede ai relatori di trattarlo anche sotto la particolare angolatura di una normativa che soffre di una cronica mancanza di libertà di scelta educativa, che spegne innovazione e pluralismo e inchioda l’Italia in vetta alle classifiche europee dell’abbandono scolastico.

Anche alla luce di dati preoccupanti sulla scuola, che si è riaperta da poco con i problemi di sempre e dopo i periodi di lockdown e didattica a distanza, i relatori hanno portato la propria chiave di lettura alla sfida lanciata da Alessandro D’Avenia, che sul Corriere della Sera si chiedeva nei mesi scorsi: “la scuola brucia o la scuola accende?”. Nel corso della giornata si è parlato delle nuove forme di disagio adolescenziale, del ruolo dello sport a scuola, della relazione docente-allievo dell’impatto del politically correct importato dagli Stati Uniti negli atenei di casa nostra, e di altro ancora.



L’incontro, che è sempre stato costruttivo sia per i contenuti che per l’ambiente amichevole che incentiva lo scambio culturale e umano, cerca di offrire ai partecipanti un ventaglio differenziato di esperienze. Lo psichiatra Tonino Cantelmi ha offerto uno squarcio folgorante sui dati post-pandemia, che mostrano inequivocabilmente un quadro critico dello stato psicologico dei giovani, mentre Federico Samaden, noto per il lavoro svolto con i ragazzi di San Patrignano e oggi preside di un istituto tecnico di eccellenza in Trentino, oltre a presentare una serie di lavori da lui curati che meriterebbero di essere più largamente conosciuti, ha sottolineato come il lavoro dell’educatore consista anche nel dare ai ragazzi una ragione per vivere, motivazione che alcuni di loro, e si riferiva a chi fa uso di sostanze, hanno perso. Quello che la scuola “accende” è in questo caso la motivazione, il senso delle cose, ed è forse la competenza – cognitiva o non cognitiva, non importa! – di cui i giovani sentono di più la necessità.

Dopo due relazioni – una di Francesco Magni sul valore pedagogico della libertà di espressione, con il focus sulle università dove sempre più spesso essa viene censurata dalla furia della cancel culture e dell’omologazione al pensiero unico, e una di Mario Salisci, che ha sottolineato, utilizzando i dati delle ultime sperimentazioni ministeriali, il valore dello sport per la crescita e la costruzione dell’identità soprattutto dei ragazzi, che più delle ragazze hanno risentito della crisi del principio di autorità e della “morte del padre” – la tavola rotonda, moderata dalla sociologa Luisa Ribolzi, ha fatto sentire le voci della scuola, statale paritaria e anche parentale, mostrando concretamente quello che chi si occupa di scuola oscuramente continua a sperare, e cioè che è possibile in ogni contesto un’esperienza educativa ricca se si parte da una relazione costruttiva con i ragazzi, e se, come indicato nella relazione tenuta dagli associati di Articolo 26, mostrando un quadro di Ulisse e le sirene, il percorso educativo comprende degli strumenti – una nave –, una compagnia – degli amici che remano –, e infine una meta desiderabile, altrimenti, come diceva Seneca, “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.

La parte istituzionale ha presentato l’attività di Articolo 26 non solo per diffondere un’ipotesi di stile educativo che sappia “incendiare” il cuore dei ragazzi, ma per realizzare quella partecipazione alla vita della scuola che, a cinquant’anni dai decreti delegati del 1974, si trascina sempre più stancamente, e si ha quasi l’impressione che, più che stimolata, venga tollerata. Il Patto di corresponsabilità educativa per rilanciare la tanto decantata alleanza scuola-famiglia è fermo ormai da anni a Viale Trastevere: al Miur esiste un organo di consultazione apposito (il Fonags, di cui Articolo 26 fa parte), ma le decisioni sulla scuola vengono da sempre prese senza coinvolgere realmente le associazioni dei genitori, cosa assai meno frequente in altri Stati europei, come la rappresentante dell’associazione europea dei genitori ha dimostrato, esempi alla mano.

Lo scopo della partecipazione non è quello di adempiere ad un compito formale: i genitori di Todi hanno rinnovato l’impegno per un cambiamento profondo del nostro sistema scolastico, in ottica di maggiore autonomia e di quella libertà di scelta scolastica che ancora manca ed è una forma di giustizia, che riconosce il ruolo primario dei genitori ad accompagnare davvero i ragazzi nell’introduzione al senso completo della realtà e alla libertà. Una questione che sembra avere fatto la sua timida comparsa nell’agenda politica pre-elettorale di alcuni partiti, ma per la quale Articolo 26 e tanti genitori italiani chiedono instancabilmente che ai facili proclami seguano interventi concreti.

“Assumere una posizione personale, qualunque professione svolgiamo, e promuovere una azione collettiva, sociale, esigendo la libertà di educazione nei suoi termini più concreti dallo Stato, qualunque esso sia, è il compito che ci aspetta” diceva don Giussani: i genitori di Articolo 26 insieme a tantissime famiglie ci stanno provando, e sperano di incontrare nuovi amici di cammino. L’appuntamento del 2023 è la prossima tappa per continuare a provarci.

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