Dalla scuola al lavoro, passando per l’istruzione e la capacità occupazionale: l’Italia è completa “maglia nera” in Ue e a sentenziarlo sono gli ultimi dati del rapporto Istat: italiani fanalino di coda per livelli di istruzione, solo il 62,2% ha il diploma, contro la media europea è ben più in alto a 78,7%. Addirittura la Germania sale al 86,6%, la Francia 80,3% e il Regno Unito l’81,2%: peggio di noi solo Spagna, Portogallo e Malta, ma incrociando i risultati anche sul fronte “Neet” (Not in Education, Employment or Training) Roma di fatto sprofonda all’ultimo posto in Europa per la qualità e il valore della nostra formazione. Nei giorni in cui la scuola italiana ancora non sa come e se riaprirà i battenti il prossimo 14 settembre, le vere notizie preoccupanti arrivano da questi ultimi dati Istat: i 25-64enni italiani con titolo di studio terziario nel 2019 erano il 19,6% contro la media Ue al 33,2% mentre da noi è ancora più lenta la crescita della popolazione laureata (+0,3 a fronte dello 0,9% della media europea). Al netto delle difficoltà dell’istruzione, test ancora più preoccupante riguarda i Neet: non lavorano e non studiano il 22% degli italiani tra i 15 e i 29 anni, i peggiori in Europa come dato complessivo. Sono in pratica 2 milioni di giovani italiani che fanno schizzare il dato europeo come primario, a fronte del 12,5% di media nei Paesi Ue.
ITALIA PEGGIORE IN UE ANCHE PER I “NEET”
«L’incidenza dei Neet è maggiore tra i giovani con un titolo secondario superiore (23,4%), leggermente più bassa tra chi ha raggiunto al massimo un titolo secondario inferiore (21,6%) e minima tra coloro che possiedono un titolo terziario (19,5%)», riporta ancora l’Istat nel rapporto oggi pubblicato sul Sole 24 ore. Ancora più tragici i dati sul Sud Italia dove i livelli di istruzione scendono al 54% di un diploma in possesso, a fronte del 65,7% del Nord: «i dati Istat sull’istruzione in Italia mostrano quanto il nostro capitale umano sia ancora relativamente debole rispetto al resto d’Europa», commenta sul Sole 24 ore del 24 luglio di Giovanni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il capitale umano. «Il problema principale è l’assenza di una “seconda gamba” professionalizzante: serve un’offerta formativa terziaria che copra la domanda delle imprese che ad oggi non risulta soddisfatta». La bassa quota di giovani con un titolo terziario risente della limitata disponibilità di corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti, in Italia erogati dagli Istituti Tecnici Superiori: dagli ITS solo 4mila giovani l’anno, ne servono 20mila spiega ancora Confindustria.