Che cosa significa “sbagliare scuola” per un giovane o una ragazza che inizia gli studi superiori? Secondo il ministro Valditara vuol dire scegliere una scuola che non offre opportunità di lavoro, buone retribuzioni e possibilità reali di carriera. Questi sono i parametri per la scuola giusta da frequentare e nascono dalla comprensibile esigenza dell’industria di reperire figure tecniche e professionali competenti e sempre più rare. Un bisogno che incontra ovviamente il desiderio delle famiglie di vedere i propri figli e figlie ben inseriti nel mondo del lavoro. Quindi, sostiene il ministro, basta far incontrare queste due urgenze e il gioco è fatto, niente più errori nell’orientamento scolastico dei giovani e tutti soddisfatti. Per questo, in questo mese di novembre, partirà nelle scuole una grande campagna per l’orientamento.
In realtà, i tre criteri di scelta della scuola sopra elencati sono già attivi da decenni per le famiglie e, ormai, anche per i giovani. E questo non solo per quanto riguarda gli istituti di formazione tecnico professionale, ma anche per molti licei che, per sopravvivere al calo demografico, hanno adeguato la propria offerta formativa alle esigenze del mercato e delle famiglie, segmentandosi in percorsi, “curvature”, indirizzi e progetti sempre più specifici a scapito delle discipline ritenute “inutili” che si stanno velocemente consumando in un nozionismo enciclopedico sempre più povero sul piano critico e culturale. In pratica, molti istituti liceali si sono trasformati in complesse e spesso confuse agenzie di addestramento propedeutiche alle facoltà universitarie più remunerative e “prestigiose”.
Sono queste le conseguenze dell’imporsi sociale di quella mentalità fondamentalmente utilitaristica che don Giussani metteva in evidenza già nel 1960 nelle riflessioni contenute nel libretto Tracce di esperienza cristiana: “Il criterio con cui la mentalità di oggi abitua a guardare l’avvenire fa centro sul tornaconto o il gusto o la facilità dell’individuo. La strada da scegliere, la persona da amare, la professione da svolgere, la facoltà cui iscriversi, tutto è determinato usando come criterio assoluto l’utilità particolare del singolo”.
Del resto, a livello scolastico i risultati non sono quelli sperati e l’esaltazione di una scuola “utile”, nel senso di dipendente dal mondo del lavoro e al “passo con i tempi” non sembra produrre molti frutti positivi: i livelli di apprendimento sono ancora non accettabili (cfr. risultati Invalsi), la dispersione scolastica e universitaria è forte, aumenta la fuga dei laureati all’estero in cerca di uno status migliore, i giovani manifestano confusione e mancanza di senso critico, etc.
Per non parlare della progressiva scomparsa dei laureati in discipline considerate poco soddisfacenti sul piano economico e sociale, con conseguente progressiva difficoltà a reperire insegnanti di lettere, matematica, filosofia, fisica. Del resto, qual è in Italia la categoria professionale che risponde meno a quei criteri? La risposta è facile: quella docente, con stipendi bassi, nessuna possibilità di carriera e sempre più scarse possibilità occupazionali a causa del decremento demografico.
Quale può essere una via di uscita per la scuola? Che sia un luogo innanzitutto “educativo” in cui il giovane non sia tanto stressato dai docenti e dai genitori su quale lavoro farà nel futuro, ma scopra se stesso, i suoi “talenti” e come donarli al mondo per realizzarsi. Non può essere la mansione da svolgere, in un futuro tutto da verificare e da vivere, ad orientare le scelte delle famiglie e dei giovani. Bisogna mettere al centro la persona del giovane così com’è ora e fare in modo che possa acquisire conoscenze, abilità e competenze coerenti con i suoi desideri e le sue scelte personali, che possa anche maturare un “atteggiamento razionale, creativo, progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai problemi” (cfr. Regolamento dei licei del 2010).
Sembrerà utopistico tutto questo ma, vivendo a contatto dei giovani tutti i giorni, sono convinto che questa sia l’unica strada realistica. A meno che non vogliamo rassegnarci a vedere sempre più giovani “aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità” (Pasolini).
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