“Nessuno può costruire il ponte su cui voi, e solo voi, attraverserete il fiume della vita. Certo esistono innumerevoli sentieri, strade e semidei che sarebbero lieti di portarvi, ma al prezzo di rinunciare a voi stessi”. Le parole di Friedrich Nietzsche, citate nel 2017 in una gremita aula dell’Università di Trento da Sergio Marchionne, riportarono gli universitari allora presenti, e noi oggi, alla vera sfida che attende ciascun uomo, a maggior ragione ciascuno studente delle medie, superiori, università.
È sempre più frequente “lasciarsi scegliere” da qualcun altro: l’amico, la mamma, l’affascinante prospettiva di carriera sbandierata al salone dell’orientamento, l’esotico nome del nuovissimo corso, il primo Tolc (test online per l’università, ndr) superato, l’influencer che imperversa su TikTok o il carismatico medico che risolve casi impossibili nell’ultima serie tv. Ma a che prezzo? L’appiattimento. Medicina, ingegneria, economia, economia, ingegneria e medicina: nobili facoltà, niente da dire, ma è quantomeno interessante che siano sulla bocca dei più. Come riportato in un recente articolo su queste pagine, oltre il 15% delle matricole abbandona l’università o cambia facoltà a fine anno. Per non parlare dei numeri del precoce abbandono scolastico nel biennio delle superiori e non solo.
Secondo i dati pubblicati da Eurostat riferiti al 2022 i ragazzi Neet, tra i 16 e i 29 anni, sono il 19%, in Ue siamo avanti soltanto alla Romania. Infine, i dati Istat riferiti al 2021 presentano un’Italia in cui i 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario sono il 26,8%, una percentuale nettamente inferiore alla media Ue27, che raggiunge il 41,6%. I governi, negli ultimi anni, per fronteggiare questa emergenza hanno puntato forte sulla transizione scuola-università, attraverso finanziamenti consistenti alle università e l’introduzione delle figure del docente tutor e orientatore nelle scuole. Sicuramente è un primo passo che può, in parte, colmare alcune lacune sistemiche. Rimane, tuttavia, in agguato la deriva che fotografa Nietzsche. C’è chi, questa situazione, l’ha voluta affrontare di petto, partendo “dal basso”.
Sul finire del 2019, nella caffetteria di Harvard, due ragazze italiane prendono sul serio quanto stava già accadendo in patria. Decidono, allora, di confrontarsi con i principali protagonisti: ragazzi, genitori e professori italiani. Risultato? Da una parte una grande “paura”, “paura” di sbagliare, di non essere all’altezza, di fare una scelta importante. “Paura”, la parola più usata dai ragazzi quando pensano al proprio futuro, dall’altra una grande fragilità nella proposta, spesso ancorata a 30 anni fa o, peggio ancora, lasciata a chi se li prenderà in carico dopo, quasi fossero pacchi da consegnare. Le due ingegnere capiscono in fretta che orientamento non significa appena scegliere, ma è un lungo percorso, che dura tutta la vita, e che parte sempre da sé, l’unica certezza di fronte a un mondo in continuo cambiamento. Da qui, con il supporto di professionisti e docenti, incubano una startup, Orientami, poi Futurely, e iniziano a lavorare nelle classi dei licei Leonardo di Milano, Paciolo di Fidenza e Malpighi di Bologna, con i ragazzi e i loro professori. Le scuole diventano 50, poi 100, fino al coinvolgimento della Casa Editrice Zanichelli per supportare gli studenti e le nuove figure previste dal Miur, il docente tutor e l’orientatore, che, si spera, possano garantire quel fondamentale dialogo con gli studenti, mai scontato nella scuola italiana.
Qual è la cifra di questo lavoro? Partire dall’io. Aiutare i ragazzi, il singolo ragazzo, a fare un lavoro su di sé, a guardarsi in azione a 360 gradi, perché l’orientamento è questo, anzitutto la scoperta di chi sono, non è appena la fatidica “scelta” del percorso successivo. Questo permette di maturare in consapevolezza, curiosità e coraggio, per non farsi traghettare “dai semidei”. “Il percorso è indirizzato, ad oggi, agli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado – racconta Elisa Piscitelli, una delle fondatrici – ed è strutturato in livelli settimanali che aiutano, anzitutto, una riflessione sulla conoscenza di sé: inclinazioni, paure, passioni, competenze, per poi affrontare la scelta. Questo lavoro per i ragazzi delle superiori è arricchito da un dialogo 1:1 con un giovane professionista del nostro network con cui confrontarsi”.
Giovani lavoratori dai percorsi più variegati, e non sempre lineari, ulteriore prova che non esiste la “scelta perfetta”, ma ogni passo può forgiare e approfondire la propria personalità. “Non solo esercizi interattivi e video testimonianze – prosegue Elisa – ma anche incontri e un diario di bordo che accompagna lo studente con domande che spesso i ragazzi non si pongono nemmeno più”. Come quelle comparse in un recente articolo su queste pagine: “A cosa ti sei appassionato in tredici anni di studio? Cosa hai capito di te? Quali punti di forza ritieni che siano i tuoi? Dove devi migliorare? Quando hai studiato una pagina con gusto? Cosa ti ha illuminato, ti ha fatto battere il cuore?”.
Alla fine del lavoro, lo studente non si porta a casa una “ricetta magica”, automatica, ma l’aver riguadagnato, da protagonista, un pezzettino di sé da condividere. Da qui il nome dell’ultimo step, “Condividi il tuo percorso”, con i professori e la famiglia per dare seguito a quanto scoperto. Come scrive Lucia alla fine del percorso: “Sicuramente è cambiata la mia consapevolezza: prima non ero così tanto cosciente delle mie competenze, delle mie paure reali e immaginarie, delle mie esperienze utili”. E conclude: “Con Futurely mi sono accorta di aver imparato ad essere paziente, a darmi tempo, e in generale mi ha aiutato a non essere costantemente in tensione su questo argomento. E poi devo dire che la mia scelta prende sempre più forma, non solo grazie al percorso di Futurely che è fondamentale, ma anche grazie a persone con cui ho parlato e incontri seguiti. Ho ancora ovviamente paure, dubbi e domande, ma molte di queste sono riuscita a guardarle con più serenità”.
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