Accendere una lampada e sparire –
questo fanno i poeti –
ma le scintille che hanno ravvivato –
se vivida è la luce

durano come i soli –
ogni età una lente
che dissemina
la loro circonferenza –
Emily Dickinson, in Tutte le poesie, 1987, Mondadori

Dimmi che poesia si scrive e ti dirò in quale mondo vivi. Ho tradotto qualche volta così ai miei alunni ciò che diceva Czeslaw Milosz in una sua lezione universitaria. Per il poeta polacco la poesia è una finestra privilegiata per comprendere il mondo che ci circonda. Nella poesia di Emily Dickinson che riportiamo per intero in apertura il compito del poeta è quello di “accendere una lampada e sparire”: cioè di mettere in presenza del mondo presente. Potremmo dire ancora meglio che l’atto che la poesia compie è quello di celebrare le cose, come dice Rilke nella Nona Elegia: “Tra i magli resiste/ il nostro cuore, come resiste/ la lingua tra i denti/ che resta, tuttavia, tutto malgrado, per lodare”.



Così intesa la poesia ha una responsabilità enorme, ma oggi la poesia sa ancora essere trasparenza dell’essere del mondo? E che senso possono avere queste domande, poi, se quello a cui assistiamo è una deriva ontologica e antropologica, in cui è l’uomo stesso ad avere abbandonato l’uomo, in cui è il mondo stesso che sembra avere abbandonato il mondo? Siamo in presenza di un cambiamento d’epoca, in gioco c’è l’immagine stessa dell’uomo e della realtà. Dunque come potrà mai tornare utile la poesia? 



Anche la scuola ha sempre avuto un compito da assolvere che possiamo sovrapporre a quanto abbiamo detto della poesia: la scuola introduce alla realtà del mondo i giovani che le vengono affidati, è il luogo in cui la persona è condotta all’incontro con il reale, perché in tale incontro essa possa maturare e crescere. Se il compito della poesia è quello di illuminare il mondo, di porlo sotto l’attenzione dello sguardo dell’uomo, quale maggiore alleato potrebbe la scuola pensare di avere se non la poesia? E questo proprio perché lo stesso destino attraversa la scuola, lo stesso lavoro essa deve compiere se vuole assolvere fino in fondo il suo compito rimanendo fedele a se stessa. Così, in una sorta di circolo virtuoso, la scuola dovrebbe ritornare alla poesia e la poesia dovrebbe tornare alla scuola.



Ma come può avvicinare alla poesia una scuola che sembra sempre più rinunciare al suo compito educativo, come testimonia proprio la modalità con cui nella scuola si affronta lo studio della letteratura? Come può, se essa tradisce e abdica di fronte al suo compito?

La poesia può essere un’alleata preziosa per la scuola. E a sua volta la scuola costituisce per la poesia una possibilità di aderire fino in fondo alla propria vocazione, un’occasione di riscoperta di sé e di inveramento. A patto che entrambe non tradiscano e non rinuncino al proprio di destino. Con tutti i limiti e le difficoltà in cui si dibatte, comunque la scuola costringe la poesia a fare i conti con la verità del mondo e a sapersi fare ascoltare: chi scrive deve tornare a comunicare, a mettere in comune il dono di una realtà a cui si è fedeli nella parola poetica. Deve testimoniare, rendere vero quel dono, quella realtà che gli è stata consegnata e che deve essere restituita. Nient’altro che questo è il compito di una poesia umanamente significativa. I poeti di oggi sanno essere testimoni di questo qui e di questo adesso? Ma la scuola di oggi è in grado di accogliere questa testimonianza?

Tradire, ridurre, abdicare: sono questi i verbi che indicano il male della scuola, della poesia, del mondo e dell’uomo oggi. Per quanto riguarda la poesia, il male sta nel pensare che la poesia possa essere ridotta a puro linguaggio. Anche per la scuola, il male sta nel presentarla per quello che non è: nel progettare un’idea della scuola che si riduce a un percorso asettico di acquisizione di competenze. Cosa occorre fare per tornare a una scuola e a una poesia che almeno nelle intenzioni non tradiscano la loro vocazione?

Occorre che la poesia torni a dire alla scuola, con le parole di Rebora, “che la poesia è uno scoprire e stabilire convenienze e richiami e concordanze tra le cose, tra il cielo e la terra”. Che la poesia torni ad avere a che fare con la verità. E per fortuna questa è davvero un’esperienza viva di tanta parte della poesia contemporanea, dopo anni di ripiegamenti sul linguaggio e giochi funambolici e vuoti. Oggi troviamo, all’estero e in Italia, tanta poesia che sa porsi come una narrazione del mondo così particolare e originale da diventare termine di paragone per l’esperienza di ogni uomo. C’è un modo più acuto di comunicare la condizione umana di quello della poesia? E il lavoro della scuola, il compito dell’insegnante è a sua volta quello di indicare proprio quella parola che sappia incarnare uno sguardo sulla realtà con cui l’allievo possa misurarsi per trovare il suo sguardo, la sua voce. Indicazione e offerta, ancora una volta, attraverso la propria persona che si mette in gioco; comunicazione, attraverso anche la comunicazione di se stesso. Così la poesia può tornare a essere uno degli strumenti educativi più affascinanti e potenti, così la scuola può tornare a vivere il suo compito di introduzione alla realtà. 

In questo ritorno alla capacità di comunicare e di educare a cui è chiamata anche dalla scuola, c’è tutto lo spazio perché la poesia che si scrive oggi possa compiere ulteriori passi verso il suo inveramento e destino. Allo stesso modo in questo ritorno della poesia alla verità del mondo c’è tutto lo spazio perché la scuola riscopra la sua vocazione. E insieme possano contribuire a ripensare gli stessi concetti di pensiero, verità, esperienza ed educazione con cui affrontare la profonda crisi antropologica nella quale ci troviamo a vivere.