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Home » Educazione » SCUOLA/ E rendimento scolastico: i soldi non c’entrano, contano i “maestri”

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SCUOLA/ E rendimento scolastico: i soldi non c’entrano, contano i “maestri”

Enrico Gori
Pubblicato 3 Febbraio 2025
Scuola (Pixabay)

Scuola (Pixabay)

Quale incidenza hanno sull’apprendimento a scuola i fattori socioeconomici? Sicuramente non sono determinanti. Ecco quelli decisivi (3)

Nella seconda puntata abbiamo sottolineato la responsabilità degli statistici e studiosi dell’istruzione nell’evidenziare, in maniera parossistica ed acritica, il ruolo dei fattori socioeconomici nello sviluppo dell’apprendimento. Abbiamo visto come il mancato inserimento nei modelli statistici dei livelli di apprendimento ex ante possa portare ad una sovrastima dell’effetto dei fattori socioeconomici sui livelli di apprendimento ex post; inoltre, anche quando il livello di apprendimento ex ante viene inserito nei modelli, l’entità dell’effetto dei fattori socioeconomici dipende molto dal lasso di tempo tra ex ante ed ex post, tant’è che in studi in cui questo è relativamente breve, l’effetto dei fattori socioeconomici scompare quasi del tutto, confermando l’ipotesi di Ausubel (Ausubel, D.P. (1968), Educational psychology: a cognitive view, New York: Holt, Rinehart and Winston: si ringrazia il prof. Trevor Bond per la segnalazione): “If I had to reduce all of educational psychology to just one principle, I would say this. The most important single factor affecting learning is what the learner already knows. Ascertain this and teach him accordingly”.


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Infine, la mancata considerazione degli errori di misura nei livelli di apprendimento ex ante comporta una sottostima dell’effetto di questo fattore, e la conseguente sovrastima degli effetti dei fattori socioeconomici, in virtù della loro correlazione indubbia con i livelli di apprendimento prescolari che costituiscono la base di partenza di ogni studente: tuttavia, diversamente da come potrebbe sembrare a prima vista, questi potrebbero avere una spiegazione genetica e non reddituale.


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Con questo non si vuole negare che le variabili socioeconomiche della famiglia siano correlate con l’apprendimento scolastico, ma richiamare piuttosto l’attenzione sul fatto che queste correlazioni, generalmente sopravvalutate per i motivi sopra indicati, non significano necessariamente che siano legate alle differenze di reddito, perché potrebbero esserlo invece con fattori come il Quoziente di Intelligenza (che a sua volta può spiegare le differenze di reddito). Ricordiamo infine che “correlazione statistica” non significa “causazione”, specie in assenza di una teoria che ne spieghi il meccanismo causante.


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Di teorie in questo senso ce ne sono molte e di facile “vendibilità” al grande pubblico. Una per tutte, ma ovviamente non è l’unica, la teoria che ChatGPT definisce “learning opportunities”, la quale rappresenta un quadro interpretativo interdisciplinare che collega pedagogia, sociologia e psicologia dello sviluppo. ChatGPT riconduce tale quadro a Lev Vygotsky, Pierre Bourdieu, Urie Bronfenbrenner, Paul Attewell e altri studiosi di sociologia educativa nonché alle teorie contemporanee sull’equità educativa. In estrema sintesi questa “teoria” postula che “Le famiglie con condizioni economiche stabili possono fornire ambienti domestici meno stressanti, con accesso a tecnologie educative, spazi dedicati allo studio e maggiore supporto nella gestione del tempo scolastico. Al contrario, famiglie con basso reddito spesso affrontano condizioni di instabilità abitativa, alimentare o sanitaria, che riducono il tempo e l’energia disponibili per l’apprendimento”.

Direi che più chiaro e semplice di così si muore! E questa forse è la ragione per la quale nessun studioso ha mai dubitato del fatto che i fattori socioeconomici influiscano sull’apprendimento. Qui, tuttavia, sorge spontanea una domanda che sottoporremo – come abbiamo fatto in precedenza – a ChatGPT. Di seguito la domanda e a seguire, in corsivo, la risposta.

Esiste qualche teoria la quale ipotizzi che le capacità di apprendimento non possono crescere senza limite all’aumentare del reddito familiare?

L’idea che le capacità di apprendimento non possano crescere all’infinito con l’aumento del reddito familiare è supportata da diverse teorie. Secondo la “teoria del rendimento decrescente” (Becker, 1993), l’aumento del reddito migliora le capacità cognitive, ma solo fino a una certa soglia, oltre la quale i benefici sono marginali. La “teoria delle risorse limitate” (Lareau, 2003) suggerisce che il tempo e la qualità delle interazioni genitoriali [che potrebbero essere legate al Quoziente di intelligenza, come si vedrà in una delle prossime puntate; EG] siano più influenti del reddito. Inoltre, “fattori culturali e sociali” (Bourdieu, 1986) possono limitare l’effetto del reddito sull’apprendimento, mentre la “saturazione cognitiva” (Bronfenbrenner, 1979) evidenzia che troppo stimolo può avere effetti negativi. Infine, secondo Heckman (2011), anche i limiti biologici e la motivazione individuale giocano un ruolo, che limita fortemente l’effetto del reddito.

Empiricamente, per esaminare se esista un limite oltre il quale l’aumento del reddito non possa produrre benefici sull’apprendimento, sono stati utilizzati i dati della Banca Mondiale. Abbiamo considerato come indicatore di reddito quello medio pro capite nell’anno 2000 a parità di potere d’acquisto (GNI per capita, PPP, a prezzi 2021) e il livello di conoscenza della matematica degli studenti dell’ottavo anno TIMSS e dei quindicenni in PISA (TIMSS 2007 e OCSE-PISA 2015). Il reddito pro-capite, quindi, è quello corretto per il costo della vita usando il tasso di PPP (potere di acquisto), che consente di fare confronti tra Paesi tenendo conto delle differenze nei prezzi dei beni e servizi. A titolo di esempio, prendendo i dati 2022-23, i redditi medi Nord/Sud in Italia sono rispettivamente 27.000 euro (media stimata tra Alto Adige e Lombardia), 19.500 euro (media stimata tra Campania e Calabria). Tuttavia, tenuto conto che i prezzi dei beni e servizi al Sud sono inferiori rispetto a quelli del Nord, effettuando una semplice operazione con l’indice dei prezzi rispetto alla media italiana si ottengono i seguenti risultati. Redditi medi pro-capite a parità di potere di acquisto: Reddito Medio PPP Nord Italia: 25.461 euro, Sud Italia: 21.431 euro. Come si vede la differenza effettiva Nord/Sud si riduce e di molto: da 8.500 euro ad appena 4.000!

Sulla base di questi indicatori, sono stati costruiti dei grafici per analizzare la relazione tra il reddito medio pro capite e il livello di conoscenza in matematica, concludendo che oltre una certa soglia (20mila dollari annui GNI a prezzi 2021 – ovviamente PPP), l’incremento del reddito non produce miglioramenti significativi nell’apprendimento: la relazione tra reddito e apprendimento della matematica nei Paesi sotto i 20mila dollari è positiva con R2 = 0,32, mentre nei Paesi con reddito superiore a 20mila dollari è praticamente nulla, se non addirittura negativa, con R2 = 0,09 (R è il coefficiente di relazione lineare; se vicino a 1 c’è una relazione lineare perfetta, se vicino a zero non c’è relazione, ndr). Ovviamente si tratta di correlazioni ecologiche che vanno prese con le pinze e necessiterebbero di studi più approfonditi che non è possibile condurre in questo articolo, e che non abbiamo avuto modo di verificare se siano mai stati effettuati. Speriamo che i giovani ricercatori facciano chiarezza.

Fig. 1. La relazione tra reddito e livelli di apprendimento della matematica

Fig. 1.1. La relazione tra reddito inferiore a 20mila dollari/superiore a 20mila dollari e livelli di apprendimento della matematica TIMSS 2007

Nella figura 2 si riporta invece la relazione tra stessi valori di reddito di cui sopra (GNI procapite, anno 2000, PPP a prezzi 2021 in dollari) e livelli medi di matematica nel 2015 nelle indagini OCSE-PISA: a parte i casi particolari di Cina e Vietnam, che hanno una spiegazione sociologica e ideologica bene precisa, quello che si osserva selezionando i Paesi fino a 20mila dollari di GNI è quanto segue: il livello di apprendimento della matematica varia di 0.0113 unità RIT (la scala di misura OCSE-PISA) ogni dollaro di reddito in più, per cui 50 punti in più di livello di apprendimento della matematica si possono ottenere con un incremento di circa 4.500 dollari. 50 punti corrispondono a circa un anno di studio della matematica (ovviamente sono solo delle stime molto approssimative, ma indicative di una tendenza). Tuttavia, dopo i 20mila dollari di GNI pro capite, la crescita del livello di apprendimento della matematica si stabilizza attorno al livello 500 e non mostra una tendenza alla crescita.

Fig. 2. Relazione tra reddito nel 2000 e livelli di apprendimento della matematica in OCSE-PISA 2015

Fig. 2.1. La relazione tra reddito inferiore a 20mila dollari e livelli di apprendimento della matematica OCSE-PISA 2015

Queste evidenze empiriche sono in linea con le teorie economiche e educative citate che suggeriscono che, al di sopra di un certo livello di reddito, altri fattori come l’ambiente educativo e la qualità dell’insegnamento diventano più determinanti per il successo scolastico, e che ci possono essere – come rileva Heckman (2011) – anche limiti biologici e motivazionali che annullano l’effetto delle condizioni socioeconomiche (il cervello umano ha ovvi limiti imposti dalla sua scatola cranica, e un ragazzo molto ricco potrebbe risultare meno motivato nello studio). Per inciso si fa notare che l’Italia ha un reddito medio pro capite (PPP) di 50mila dollari, pari a due volte e mezzo la soglia di 20mila dollari, per cui tutti gli esperti che in Italia cercano di spiegare le differenze di apprendimento tra Nord e Sud sulla base di presunte differenze economiche dovrebbero usare un po’ più di cautela e rivedere le loro teorie.

Insistere troppo sul presunto svantaggio economico del Sud, infatti, da un lato fornisce agli insegnanti del Sud un alibi per i risultati peggiori ottenuti mediamente dagli studenti nei test INVALSI, e dall’altro li giustifica nel compensare questo presunto svantaggio con voti gonfiati negli esami finali (maturità o altri gradi), mentre il vero problema potrebbe essere la qualità dell’insegnamento che impartiscono. Non vogliamo qui toccare comunque il tema spinoso delle distorsioni nei voti ottenuti negli esami finali, per il quale avremmo una soluzione molto semplice, sostanzialmente analoga a quella degli “studi di settore” che l’Agenzia delle entrate usa per individuare il reddito presunto dei contribuenti.

Per concludere vorremmo qui ricordare uno dei punti fondamentali di quella che è la teoria del maggiore studioso di economia dell’istruzione e del capitale umano: Eric Hanushek (uno degli invitati nel convegno internazionale Invalsi 2004, citato nella seconda puntata, parte dei cui contributi sono raccolti in https://hanushek.stanford.edu/publications/institutional-models-education-legal-framework-and-methodological-aspects-new-approach).

L’articolo El paradigma económico de la educación desde la teoría de Eric A. Hanushek evidenzia il ruolo cruciale delle conoscenze in matematica e scienze per lo sviluppo economico di un Paese. Hanushek sottolinea che le competenze cognitive avanzate in queste discipline sono direttamente correlate alla crescita del PIL e alla capacità di innovazione di una nazione, mentre la crescita del PIL non è correlata con gli investimenti monetari in istruzione. Tuttavia, l’acquisizione di solide competenze in matematica e scienze dipende in larga misura dalla qualità delle scuole.

Quindi:

– La scuola gioca un ruolo fondamentale perché un insegnamento di qualità in matematica e scienze favorisce un migliore capitale umano, aumentando la produttività e la competitività sul mercato del lavoro;

– Le scuole devono garantire un ambiente di apprendimento efficace, con docenti ben preparati e metodologie didattiche adeguate, affinché gli studenti sviluppino competenze avanzate in queste materie;

– Sistemi educativi di bassa qualità compromettono la crescita economica, poiché impediscono agli studenti di acquisire le abilità necessarie per affrontare le sfide tecnologiche e scientifiche del futuro.

In sintesi, Hanushek afferma che lo sviluppo economico dipende dalle competenze in matematica e scienze, mentre la qualità della scuola è il fattore chiave per garantire un apprendimento efficace in queste discipline. Per questo, le riforme educative devono concentrarsi non solo sull’accesso all’istruzione, ma soprattutto sul miglioramento della sua qualità.

In base a questa teoria, pertanto, il minor sviluppo del Sud Italia potrebbe essere spiegato dalle minori competenze degli studenti, che a loro volta risiederebbero in un sistema educativo meno efficace. La correlazione che oggi si osserva: minore sviluppo → minori competenze, potrebbe avere una spiegazione del tutto inversa: minori competenze → minore sviluppo.

Ci piace infine ricordare come tutte queste idee furono ben spiegate nel 2004 durante il convegno Invalsi. Probabilmente ci furono problemi di traduzione.

Fig. 3. La locandina del convegno internazionale Invalsi del 2004

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