Il mondo della ginnastica, soprattutto ritmica, ma anche artistica, ha subìto nelle ultime settimane un grande terremoto interno. Lo scalpore mediatico delle dichiarazioni di abusi da parte di molte atlete ha acceso i riflettori su un mondo seguito e conosciuto solo in occasione di manifestazioni mondiali, come capita alla maggior parte degli sport purtroppo. Eppure, dietro a queste atlete, esiste un ambiente molto complesso.



Dopo quanto accaduto ho provato ad interrogare alcune protagoniste: ex atlete, allenatrici, mamme, lasciando emergessero molti interrogativi sul mondo dello sport in generale, ma sullo stile di questi due, in particolare.

Chi è stato a diretto contatto con l’agonismo ad alto livello, serie A e nazionale, non dubita della possibile veridicità dei fatti denunciati. La prima domanda che pongo da persona che ha scelto lo sport come lavoro e passione nella vita è: la dieta di un atleta deve diventare il suo carcere o ė funzionale alla pratica di quella disciplina? Con atlete così piccole, la maggior parte sono ragazzine minorenni, il cibo deve diventare un’arma? Addirittura, si potrebbe arrivare a considerarlo una forma perversa di doping? La prestazione sportiva può passare dalla perdita di etti dalla mattina alla sera? In che modo è possibile tenere insieme dieta, prestazione sportiva efficace ed eccellente e costruzione dell’identità corporea, fisica e mentale, tipica di questa fascia d’età? Lo sport, soprattutto quello di alto livello, può non tenerne conto? Pesare un chilo in più può aumentare la probabilità di infortuni in atleti il cui pane quotidiano sono i salti mortali; il cibo, quindi, assume un valore salutare e preventivo fondamentale.



L’altra faccia della medaglia, però, è il raggiungimento di una forma longilinea e filiforme, nella ritmica soprattutto, che mira a una prestazione con una grande componente estetica e di immagine. Siamo ancora nel campo della salute? Quando si supera il confine?

Nel mondo della ginnastica, sia nell’alto livello come pure nei livelli precedenti, trattando con atlete preadolescenti e adolescenti, è forte anche la componente educativa dello sport e non solo prestazionale. Sicuramente parole come fatica, sacrificio, dedizione, per chi comincia a gareggiare, non sono vocaboli vuoti, ma passano per l’esperienza della carne, in ogni senso. Quando viene richiesto il salto di qualità ad un livello superiore avviene anche una sorta di “selezione naturale”. La ginnastica non richiede solo fisico, ma anche molta testa e capacità di sopportare le pressioni e le frustrazioni. Negli sport individuali, in modo maggiore rispetto a quelli di squadra, questa componente è di fondamentale importanza. Tale “selezione naturale” avviene in un momento di crescita delicato, quello dei grandi cambiamenti: fisici, mentali, scolastici, emotivi. L’allenamento al sacrificio, alla fatica, all’organizzazione del proprio tempo, alla metodicità, al rigore fisico e alimentare, è un valore aggiunto per la formazione di una persona, sono valori ancora positivi intrinseci allo sport o sono esasperati e quindi nocivi? Si possono raggiungere prestazioni eccellenti di altissimo livello con un’asticella meno richiedente? La selezione naturale fa bene allo sport o è causa di abbandono?
Legato a quest’ultimo passaggio sorge un terzo interrogativo. Livelli di tensione molto elevati in gara, spesso supportati da frasi motivazionali discutibili quali insulti o affermazioni di disprezzo per la mancanza di un risultato positivo e vincente da parte degli allenatori, possono portare a un abbandono di tali sport. Spesso l’aumentare del livello prestazionale richiesto coincide con un cambio di allenatore o di programma di allenamento, e conseguentemente a ciò interi gruppi di atlete possono arrivare a mollare una società sportiva. È il segno e una conferma della fragilità degli adolescenti di oggi? È la conferma di un’incapacità di sopportare anche stili più prepotenti? Tali dati confermano la fatica a creare bacini sportivi da cui individuare talenti da far crescere? Oppure, a queste condizioni, risultati troppo esigenti non sono più sostenibili?



Questo terremoto nel mondo della ginnastica ha messo in luce sicuramente molte falle a livello educativo e sportivo; tali accadimenti possono diventare l’occasione per riflettere su come anche lo sport sia la cartina tornasole di un mondo giovanile che fatica a far fatica? È ancora positivo, costruttivo e sopportabile riuscire a sostenere il peso delle pressioni e dell’intenso lavoro fisico? Si molla troppo facilmente oppure è necessario interrogarsi sullo stile da richiedere alla componente adulta del mondo dello sport?

Inoltre, le famiglie che ruolo hanno? Possono, vogliono, dovrebbero prendere posizione? Sostenere e accompagnare un’atleta di ginnastica di alto livello è davvero impegnativo. Le gare in trasferta, le ore in palestra, i sacrifici richiesti. Le famiglie come stanno di fronte a tutto ciò? Sostengono i propri figli? Li difendono quando la fatica è troppa o li spronano a non mollare?

In ultima battuta: la motivazione dell’atleta. Debolezza emotiva o sistema troppo esigente? Quanta passione muove e spinge a sacrificare le serate con gli amici perché prima di una gara non si può far bisboccia? Quante le uscite o i cinema saltati perché c’è allenamento e poi c’è da studiare? Perché il tasso di abbandono sportivo è così alto? Gli abusi denunciati sono causati da una non sufficiente motivazione e da una minore capacità di reggere lo stress fisico ed emotivo, o perché effettivamente i metodi usati superano la soglia del lecito e dell’umanamente dignitoso?

Forse è necessario chiedersi nuovamente, soprattutto gli addetti del settore, quali siano gli obiettivi degli sport di livello e come poter trovare una sinergia costruttiva e che favorisca la crescita tra gli obiettivi sportivi, appunto, e la tutela della salute degli atleti.

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