Caro prof. Giuseppe,
io di anni ne ho 39 e non insegno, ma sono certa che non avrei spento la mia piccolissima porzione di telecamera sentendola parlare.
Ho un bambino in prima elementare (oltre ad una cara amica che insegna e ha una mole di lavoro folle per la celerità con cui è stato richiesto il cambio di valutazione. Anticipo chi sta per sminuire “mole folle di lavoro”, perché se una persona prende seriamente questa richiesta di trasposizione dei giudizi, ci perde davvero un tempo indefinito e delle energie indefinite) e, come tutti i genitori, mi è arrivata una mail con le quattro valutazioni.
Prima osservazione: come sono ambigue! Odio gli appiattimenti, e questi giudizi – a prima vista – mi sembrano tutti simili tra loro. Si pensi a un genitore che torna a casa dopo 8-10 ore di lavoro e non nutre una particolare passione per l’etimologia della parole, per le sfumature meravigliose che la nostra lingua propone (Si badi bene che non è il mio caso, io amo la parola e tutte le sfumature che ciascuna contiene, ma questo è un altro discorso). Temo che l’ambiguità dei giudizi che ho letto renda il messaggio all’utente in questione ancora più complicato da decifrare.
Ora mi chiedo, guardando mio figlio: cosa desidero per lui? Che sia felice, chiaro. E come la scuola ci può aiutare in questa ardua impresa? Fornendogli tutti gli strumenti che la cultura possiede. E mettendo in evidenza ciò in cui riesce, ciò in cui fatica. Quello che lo appassiona e quindi a cui dedica impegno, quello che svogliatamente non studia semplicemente “perché non mi piace”.
Io, da mamma, voglio sapere dove mio figlio “funziona” meglio e dove “non funziona” e non per etichettarlo, bensì per aiutarlo. Per potergli dire davanti a un chiarissimo 10 (o anche “ottimo” lo trovo piuttosto chiaro) “bravo Pietro! Ti piace allora la matematica? Ho scoperto una cosa di te, che tu – a differenza mia – ami i numeri! È bellissimo, ricordiamocelo così che tu possa coltivare questa passione!”. Oppure “Vedi che se ti impegni puoi ottenere delle belle soddisfazioni!”.
E davanti a un 4 (o un’insufficiente) io possa chiedergli “Pietro cos’è che non è andato? Cosa c’è da cambiare? Se non capisci troveremo un modo per aiutarti. Se hai preso 4 perché non ti piace e quindi non hai studiato per questa ragione sappi che per una settimana niente tv. Perché nella vita bisogna imparare a fare anche cose che non ci piacciono, perché anche la tua di vita sarà costellata da obblighi non graditi e tu, bambino mio, dovrai imparare ad affrontarli per diventare un uomo”.
Tutto questo lo dico mossa dall’amore per mio figlio.
Non complicate le cose, non appiattite i giudizi. I bambini si sentono sbagliati per come sono guardati, non per il giudizio sulla pagella. Un 4 di un prof che ti vuole bene, che ti guarda con stima e per ciò che sei davvero, accompagnato da due parole di rimprovero o di conforto, fa crescere.
Una mamma o un papà che guardano con infinito amore – a prescindere dalla prestazione che raggiunge – il proprio figlio, ancora di più in virtù di un fallimento chiaro magari (un bel 4 per esempio), sono vita, rinascita, nuovo inizio, forza.
È lo sguardo che va “riformato”, non i giudizi! Interroghiamoci su come guardiamo i nostri alunni, i nostri figli. Il resto è solo un involucro. Forza Maestro Giuseppe! Io sono con Lei.
(Giuditta Perrotta)
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