Nel film La sala professori di Ilker Catak si vede chiaramente come il rispetto delle regole – rigide e assolute – non abbia più alcuna possibilità, nella scuola di oggi, di creare un clima di lavoro costruttivo e una cordiale unità di intenti intorno a principi basilari di giustizia e convivenza civile. Come in un prisma dalle mille sfaccettature, ciò che in una classe o in un ambiente circoscritto, come una sala prof, può essere corretto di sbagliato e violento, in realtà può rivelarsi solo la parte minore di un problema o addirittura di problemi ben più grandi e complessi. E se vai a toccare un elemento per “sistemarlo”, puoi correre il rischio di far crollare edifici che a malapena si stanno reggendo in piedi su equilibri molto precari.
Poco tempo fa, in un liceo che conosco è stato sospeso un ragazzo per frasi e atti di bullismo avuti in classe verso due sue compagne. Secondo l’alunno, le ragazze non hanno colto il vero senso delle sue parole (che a suo dire aveva un “valore generale e generico”); diversi prof presenti in aula o non si sono accorti del fatto (elusa la regola della sorveglianza), o si sono basati sul racconto esclusivo dei compagni del ragazzo (elusa quella di evitare comportamenti pregiudiziali); il ragazzo in questione soffre di diversi disagi e problematiche familiari (regola dell’inclusione); i genitori delle ragazze incalzano per la punizione; i genitori del ragazzo giustificano il comportamento del figlio. Insomma, dal piccolo sasso lanciato si sono creati cerchi concentrici che hanno confuso e amplificato l’evento.
Ma non accade la stessa cosa ad ogni semplice interrogazione, o verifica scritta che diamo ai nostri studenti? Il voto è giusto? Il clima in cui lo studente è interrogato è adeguato? Le domande poste sono dello stesso peso delle interrogazioni agli altri alunni? L’espressione del viso del prof intimorisce o mette calma? Si è data la possibilità di recuperare al ragazzo, se ha sbagliato qualcosa?
Non si arriverà mai alla vera giustizia. E più il singolo cerca l’intervento ottimale, più rischia di creare senza accorgersi situazioni squilibrate, pericolose e disumane. Ci sono sempre fattori umani, didattici, sociali, psicologici, familiari, scolastici, psichiatrici, emotivi, sentimentali che vanno oltre, che sfuggono al controllo. Siamo continuamente di fronte a qualcosa di più grande di noi.
In questo ci vede bene il film. Descrive un panorama sempre più verosimile, anche per le nostre scuole latine.
Ma il film non vede tutto e non dice tutto. Nella storia della giovane professoressa Carla non ci sono punti di ripartenza, né nei ragazzi e neppure negli adulti. Si vive una disunità e una frammentazione continua fra alunni, fra alunni e prof, fra i docenti tra di loro. L’estraneità regna sovrana. Così anche la violenza. Perché?
Perché non si riconosce un punto comune di ripartenza. Non c’è un luogo di verità nelle persone a cui la verità possa rivolgersi, ma solo gruppi, fazioni e partiti. Invece nelle aule, in mezzo a confusione e ingiustizie, tra caos e rimproveri, il cuore di un adulto può ancora parlare al cuore di un ragazzo. Un adulto commosso dalla grandezza di ciò che sta spiegando, un adulto teso al destino del suo alunno, così com’è, come lo trova, può ancora ridestare il suo interesse e il suo sguardo, pur tra mille problemi e disagi.
Insomma c’è tutta la possibilità che ogni anno, ogni giorno, in ogni istante si riaccenda un rapporto. Un legame profondo. Su questo legame, poi, certamente, potremo ricostruire delle regole e dei comportamenti giusti, ma sempre, sempre all’ombra della interezza della persona e con l’indefinita possibilità di cambiare rotta seguendo l’infinito nascosto nel cuore di ciascuno.
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