Caro direttore,
il ministro Bianchi ha risposto niet alla (più che sensata) richiesta di numerosi presidi di spostare il rientro in presenza a scuola, adottando nel frattempo la didattica a distanza (Dad). Vabbè, potremmo dire, dal punto di vista politico la cosa è più che comprensibile: obbedienza al capo e necessario allineamento alla linea governativa che non può permettersi un dietrofront con retrogusto di sconfitta. Ma qual è il messaggio, quali le ricadute educative che tutto ciò ha sui giovani? Quei giovani che ancor più degli anziani o dei 50enni stanno morendo, dentro, perché – come ben detto sul Corriere della Sera del 7 gennaio da A. Cazzullo – “hanno dovuto rinunciare a incontri, amicizie, amori, viaggi, opportunità, in una parola: vita”. E la morte della speranza di vivere è peggio della morte fisica.

Ma qui sta il tallone d’Achille dell’Occidente nichilista, che preferisce la mera sopravvivenza biologica e il benessere del corpo ad una vita dotata di senso, che lotta, che soffre, che sta dentro le mille contraddizioni e i problemi di cui è intessuta l’esistenza, ma che in forza di una ragione li sa affrontare e quindi, comunque, pur nelle sconfitte, ne esce vittoriosa.

Invece il messaggio che a livello sociale e nella scuola si sta pervicacemente inculcando è ancora quello dell’eroico sforzo per raggiungere l’immunità/intangibilità dalla malattia (vaccino a go go, esercito schierato in campo e fede cieca nella dea “scienza”, ovvero in chi parla a suo nome), per poi ritornare alla normalità. Tutto questo nonostante la realtà sia ben altra cosa. Viene in mente il film Don’t look up: anche quando la “cometa” comincia a diventare visibile ad occhio nudo, anche quando si impone in tutta la sua evidenza, la realtà continua a essere distorta e si protrae la follia di una vita ridotta a pura spettacolarizzazione (e business). Il fatto è che per la “normalità” di una vuota vita biologica siamo disposti ad alienare anche la libertà ed ogni forma di responsabilità.

Che fare allora? Forse lasciare che tutto vada come vada, continuando come se niente fosse e lasciando morire chi deve morire (tanto sono gli anziani)? No: non sarebbe, questa, che una posizione solo apparentemente opposta alla precedente: ancora un vivere rimuovendo la realtà della nostra strutturale fragilità, del nostro essere roi déchus, per dirla con Pascal, e non immortali-immuni. La realtà, la nostra realtà umana va affrontata e la scuola, specialmente ora, dovrebbe svolgere questo ruolo sociale fondamentale. Ne va del futuro delle nuove generazioni e quindi del nostro stesso Paese. Altro che Pnrr: non bastano i soldi per questo. Nel suo efficace intervento, sempre nella stessa edizione del quotidiano citato, A. Scurati ha giustamente ricordato che dobbiamo passare alla “cura”, in tutti i sensi: non basta vaccinarsi, come prendersi una pastiglietta, per far dileguare ogni malattia e rischi connessi.

C’è una ferita nel nostro essere che è costitutiva e invece di dire che presto tutto passerà occorre farsene carico da subito, avendo cura di noi, affiancando i più giovani nell’avere cura di sé, aiutandoli a guardare in faccia e a gestire le contraddizioni, le fatiche, le sofferenze. Non a sospendere la vita aspettando che svaniscano quasi per miracolo. Questo sia in presenza, che in Dad. Perché il problema non è quello di un ritorno tout court e a qualsiasi costo in presenza (la “normalità”), se poi ciò che si comunica è ancora il vuoto, farcito di nozioni e abilità.

Sicuramente, comunque, in questa fase meglio essere realisti e puntare sulla Dad. Anzi: lasciare a chi è in mezzo alla tempesta la possibilità di valutare e scegliere le soluzioni più opportune. Accanto a “cura” c’è infatti un altro termine che è altrettanto decisivo, ma anch’esso sempre più ridotto ai minimi termini da chi detiene le leve del bene comune. Si tratta della “responsabilità”. Perché mortificare ancora invece di potenziare la già evanescente autonomia della scuola? Perché non lasciare a chi ha presente la complessità dei fattori di un’organizzazione come è quella della scuola la scelta sul da farsi?

Le variabili sono tante e tra loro interagenti: numero di studenti positivi per classe, certo, ma anche numero di docenti in servizio, spazi disponibili, presenza di una progettazione seria di attività in Dad, ecc. Poche regole e più libertà-responsabilità esercitata, invece di ridicole prove di eroica tenuta della postazione contro il nemico-Covid; maggiore realismo e flessibilità tattica nel combattimento. Anche questo sarebbe formativo per i ragazzi.

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