Sembra che le famiglie italiane abbiano rinunciato all’esercizio effettivo del loro diritto a educare.
Quando un ordinamento giuridico statuale riconosce direttamente l’esistenza di un “diritto”, provvede anche, in misura più o meno soddisfacente, a prevedere il supporto economico affinché tale diritto abbia poi attuazione concreta.
Faccio alcuni esempi, riferiti alla nostra Costituzione, considerata da molti “la più bella del mondo”, almeno nella prima parte.
L’articolo 4 e poi l’articolo 35 riconoscono il “diritto” al lavoro, su cui l’intera Repubblica dovrebbe essere fondata. In conseguenza di questo esplicito riconoscimento, esiste un solido corpo legislativo volto, appunto, a favorire e tutelare il lavoro di tutte le italiane e di tutti gli italiani. Si potrà e dovrà discutere sull’adeguatezza di tali norme, ma esse ci sono e sono state rese necessarie proprio perché quello al lavoro è considerato un “diritto”.
L’articolo 32 riconosce il diritto che la salute di ognuno e ognuna venga tutelata e favorita. Ed infatti, l’Italia ha prodotto una normativa poderosa per assicurare a tutti l’accesso alle cure ospedaliere e non. Anche in questo caso, sono aperte le polemiche circa l’insufficienza delle somme messe a disposizione per tutelare la salute, ma tali norme ci sono e nessuno, proprio nessuno, metterebbe in dubbio che esse debbano esserci, proprio per rendere credibile il contenuto dell’articolo 32.
L’articolo 48 proclama il diritto al voto e, per questo, l’apparato statale investe ingenti somme perché tale diritto possa essere esercitato. Ci mancherebbe altro!
D’altra parte, ed è scandaloso, c’è un diritto che nessuno (dico nessuno, almeno finora) si preoccupa di vedere attuato con i relativi provvedimenti di carattere economico e finanziario. Si tratta del diritto previsto dall’articolo 30, di cui riporto il testo integrale, visto che esso non viene mai citato, a nessun livello: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche sa nati fuori del matrimonio”.
La Costituzione, cioè, riconosce il diritto dei genitori a “istruire ed educare i figli” e lo riconosce solo a loro e a nessun altro. Ripeto: nessun altro. Ebbene, in questo caso, a livello statale nessuno, almeno finora, si è preoccupato di assicurare ai genitori gli strumenti economici perché possano adempiere al loro diritto, che porta con sé, inevitabilmente, visto che viviamo in uno Stato democratico, il diritto di scegliere liberamente come e da chi fare istruire ed educare i propri figli.
Fino a quando questa libertà non verrà concretamente riconosciuta, vivremo in un ordinamento “border line”, cioè al confine con un ordinamento non pienamente libero e non pienamente democratico. Ogni volta che viene posto il problema ai vari governi, ci sentiamo dire che “non ci sono i soldi”.
Ma come!? Essendoci in ballo un diritto, i soldi si devono trovare (come si riescono a trovare velocemente per i cannoni). Trattandosi di un diritto, lo Stato non può non trovare le risorse, altrimenti si rende complice della violazione del diritto fondamentale di ogni famiglia.
La quale famiglia dovrebbe essere molto più attiva nel reclamare il sostegno concreto al proprio diritto, mentre mi sembra che si stia rassegnando al pensiero (sbagliatissimo) secondo il quale, tutto sommato, sarebbe lo Stato il vero titolare del diritto all’educazione. La famiglia dovrebbe prendere coscienza che ciò è proprio quel che avviene in tutti gli Stati dittatoriali o, peggio, totalitari. Le famiglie, per prime, dovrebbero farsi carico di lottare, con dignità, per tutelare il loro più importante diritto, riconosciuto non solo dalla nostra Costituzione, ma anche da tutte le solenni dichiarazioni di livello internazionale.
Mi pare che, in questo senso, qualcosa si stia muovendo. Per la solerte iniziativa di Roberto Pasolini, molte associazioni familiari hanno sottoscritto un documento che rivendica la libertà educativa della famiglia e che ha portato la Regione Lombardia ad organizzare per lunedì 24 marzo alle ore 15.00 un importante convegno, a 25 anni dalla legge sulla parità scolastica e dall’introduzione in Lombardia (unico esempio in questo dopoguerra) del buono scuola o dote scuola che si voglia dire.
Al convegno, durante il quale sentiremo le voci qualificate di tante famiglie, ha assicurato la propria presenza il ministro Valditara, che si è dimostrato sensibile al problema. Confidiamo che finalmente qualcosa nella politica si muova, con soddisfazione di tutti coloro che amano veramente la libertà di tutti e non solo di alcuni.
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