L’educazione civica torna nella scuola. Evviva! Così si esulta negli ambienti governativi. Peccato che la notizia nasconda un inganno. Non è vero che torni l’educazione civica, bisogna correggere con: dal prossimo primo settembre, sulla base della legge approvata alla Camera e che ora dovrà affrontare il Senato, è semplicemente abolita l’attuale “Cittadinanza e Costituzione”, cioè la materia che dal 2008 ha rimodulato nelle scuole l’insegnamento della Costituzione. Il testo sul quale si è brindato infatti comincia così: è abrogato l’articolo della legge (169/2008) che ha introdotto l’insegnamento di Cittadinanza e Costituzione.
Ricapitolando: cittadinanza e costituzione comportava l’insegnamento della Costituzione? Sì, tra altre cose. E la nuova educazione civica comprende l’insegnamento della Costituzione? Sì, con l’esclusione di “quelle cose”. Allora per afferrare la faccenda bisogna andare a vedere cosa siano “quelle cose”. Quelle cose sono cose di sinistra. Questo è forse il loro peccato originale, almeno agli occhi di chi le ha cassate. Vediamo. La cittadinanza e costituzione del 2008, da svolgere nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-sociale e del monte ore complessivo previsto per le stesse (dunque senza variazione di orario) era accompagnata da un documento di indirizzo, orientativo della fase sperimentale, in cui si spiegava la differenza tra la semplice educazione civica e, appunto, la cittadinanza e costituzione.
Il documento si richiamava al quadro europeo che nel 2006 tra le competenze da sviluppare nei ragazzi annoverava la competenza civica, cioè la consapevolezza di essere parte di un corpo sociale e istituzionale. Il documento, ancora, richiamava il contesto multiculturale in cui tale insegnamento si sarebbe svolto che obbligherebbe l’individuo a “elaborare dialetticamente i costrutti dell’identità personale, e della solidarietà, della libertà e della responsabilità, della competizione e della cooperazione”. Il documento di indirizzo spiegava che l’educazione dovrebbe interessare qualunque disciplina proposta, che diventerebbe per ciò stesso “civica”, ossia propedeutica ai canoni fondamentali della convivenza civile. Diversa da una qualunque altra disciplina sarebbe invece la cittadinanza e costituzione come ambito tramite cui far crescere negli alunni “contenuti e competenze attinenti al concetto di cittadinanza attiva”. Quali? Esemplifichiamo brevemente considerando gli obiettivi di apprendimento che il documento di indirizzo riserva alla scuola secondaria di secondo grado. Tra questi troviamo, scegliendo qua e là: uguaglianze e differenze, sovrapposizioni ed eccedenze rispettivamente dei concetti di uomo, individuo, soggetto e persona umana (sic!); conoscere i processi migratori, identificarne le cause, valutarne le conseguenze personali, sociali, culturali ed economiche, ecc.; identificare stereotipi, pregiudizi etnici, sociali e culturali presenti nei propri e negli altrui atteggiamenti.
Insomma quanto basta per indurre a fiutare che tra le righe di cittadinanza e costituzione si nasconda una progettualità di stampo attivistico, funzionale all’inserimento del giovane in un mondo globalizzato dove la cultura o le culture, specie quelle nazionali, sono relativizzate e da ricostruire continuamente nell’interscambio tra soggetti, individui e gruppi che scelgono di volta in volta cosa essere e come essere.
Veniamo alla nuova educazione civica che si presenta con un’aura progettuale altrettanto ambiziosa. “Quelle cose” non ci sono più. Abrogate appunto. Al loro posto troviamo una vera e propria nuova materia, oggetto di valutazione periodica espressa in decimi che parte come semplice “iniziativa di sensibilizzazione” nella scuola dell’infanzia e si prolunga nei rami successivi della scuola con obiettivi di apprendimento riferiti a: Costituzione italiana, organismi europei ed internazionali, storia della bandiera e dell’inno nazionale, sostenibilità ed educazione ambientale, cittadinanza digitale, elementi di diritto, ecc. Come se non bastasse, si accenna alle educazioni: stradale, alla salute e al benessere, al volontariato, alla cittadinanza attiva, al rispetto verso le persone, gli animali e la natura.
La differenza rispetto a prima è che se la cittadinanza e costituzione era progressiva, la nuova educazione civica è protettiva. Ne fa fede l’articolo 5 in cui si prevede la maturazione negli alunni di conoscenze e abilità che salvaguardino dai pericoli in ambienti digitali. Anche in questo caso la didattica costituzionale sconfina nella formazione alla cittadinanza responsabile.
La morale della favola è che l’erosione di “quelle cose” non preserva dal duro confronto con la realtà di un universo giovanile che la “sua” educazione civica se la fabbrica sui social. Il medesimo articolo 5, per certi aspetti centrale, prescrive a chi applicherà la legge di coordinarsi con il Tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo, insediatosi da poco più di un anno al Miur. Bene: una ricerca del Tavolo sui tempi di connessione su un campione di studenti dai 13 ai 20 anni attesta che un quarto è sempre connesso e un terzo trascorre dalla 3 alle 4 ore al giorno online. Il 15 per cento chatta anche di notte e il 21 lo fa anche a scuola.
Questa forse è la vera emergenza o comunque il nuovo canale di Panama che mette in collegamento l’oceano dell’individualità giovanile con quello della socialità virtuale. Oceani che non sono né di destra né di sinistra. Mondi apparentemente lontani dai temi di cui ci siamo occupati, ma attenti a chi si cura di loro. Le contrapposizioni un poco ideologiche tra le varie educazioni lasciano il tempo che trovano. Per scendere nell’arena delle amicizie social l’insegnante non può solo riempirsi e riempire di nozioni, per quanto aggiornate, se non è formato lui ad affrontare la ricostruzione dell’umano.