Di recente Il Sussidiario ha pubblicato un intervento sulla sfida educativa e culturale del nuovo insegnamento di educazione civica, che presentava un libro, frutto di un progetto animato da un gruppo di studiosi su iniziativa dell’Associazione Disal e che costituisce il Quaderno n. 1 della Rivista Dirigere Scuole, che da anni accompagna sul piano della riflessione educativa la vita dell’associazione. Questo insegnamento, introdotto in applicazione della legge 92 dell’agosto 2019, approvata all’unanimità dal Parlamento italiano, costituisce una sfida non tanto per il periodo problematico e pieno di contraddizioni della vita scolastica in cui si introduce, quanto nei confronti di un contesto socioculturale che tende a rendere strumentali le relazioni umane.
Disal ha promosso anche una serie di webinar per offrire approfondimenti culturali e indicazioni metodologiche per la formazione di dirigenti e docenti, a partire dalla prospettiva delineata nel testo, a cui ha partecipato anche la dottoressa Lucrezia Stellacci, attualmente Coordinatrice del Comitato tecnico scientifico per l’educazione civica. Le abbiamo rivolto alcune domande sul senso del nuovo insegnamento e sulle difficoltà che ha riscontrato per il suo inserimento nei curricula scolastici.
L’educazione civica, già auspicata da un ordine del giorno all’Assemblea Costituente (primo firmatario Moro), è stata introdotta in Italia nel 1958, quando era ministro della Pubblica Istruzione sempre Moro. Quindi è un insegnamento “di lungo corso” nella scuola italiana, anche se non ha avuto sempre molta fortuna tra i docenti e gli studenti. La nuova legge che introduce un insegnamento trasversale e non una materia a sé stante, da imparare su un libro, costituisce un ritorno all’antico o è una vera innovazione?
Direi che è un’innovazione con un cuore antico. Tanto il Dpr n. 585 del 1958, che ha introdotto due ore di educazione civica nelle scuole di istruzione secondaria di primo e secondo grado, affidate al docente che doveva svolgere il programma di storia, e senza l’attribuzione di un voto distinto, quanto la sperimentazione nazionale di “Cittadinanza e Costituzione” attivata con la legge n. 169/2008, e favorita dalle Indicazioni nazionali e dal Profilo finale del primo ciclo di istruzione, come dalle Indicazioni nazionali e Linee Guida degli istituti di secondo grado, non hanno saputo dare sistematicità e cogenza a questo insegnamento, che può anche fare a meno di un libro di testo, ma non potrà mai prescindere dal coinvolgimento di tutti i docenti della classe.
L’articolo 1 della legge 92 recita: “L’educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri”. Qual è l’animus della legge?
È proprio in questo articolo, che spiega la ratio della legge. Il testo dice che l’educazione civica contribuisce a “formare cittadini”, componenti di una comunità sociale, consapevoli, responsabili e partecipi. La nostra vita è fatta di continue scelte che anche quando attengono alla sfera privata finiscono sempre per incidere su ambienti a noi vicini; per scegliere occorre conoscere tutte le opzioni in campo e gli effetti a ciascuna collegati, per assumersene la responsabilità. Urge che i giovani riprendano a battere i sentieri scomodi della responsabilità e della partecipazione.
Cosa significa che l’educazione civica è un insegnamento e non una disciplina e che la sua caratteristica fondamentale è la trasversalità?
I tre nuclei tematici citati nel secondo comma dell’articolo 1 della legge, e che compongono l’essenza di questo insegnamento, non sono riconducibili a una sola disciplina, di quelle che normalmente sono comprese nei piani didattici dei corsi di studio, e neppure sono esclusivamente disciplinari. Per questa ragione, ogni disciplina che tratta conoscenze riconducibili ai tre nuclei tematici deve sentirsi chiamata in causa a dare il proprio contributo alla costruzione del curricolo di educazione civica. Ma non basta, perché il risultato potrebbe essere un puzzle di unità didattiche collegate ai nuclei tematici, ma non collegate tra loro, per cui resterebbero come isole vaganti nell’oceano del sapere, dotate ciascuna di una propria valenza cognitiva, ma prive del valore aggiunto di un unitario orizzonte di senso etico-antropologico.
In questi primi mesi, invero faticosi e travagliati per tantissimi aspetti, di vita scolastica, come coordinatrice del Comitato tecnico-scientifico per l’educazione civica e quindi interlocutrice fondamentale del variegato mondo delle scuole, quali dubbi e difficoltà ha registrato rispetto all’attuazione del nuovo insegnamento? E quali rischi vede di fraintendimento dell’ispirazione originaria della legge?
Purtroppo la situazione di emergenza sanitaria in cui siamo immersi non ha agevolato l’introduzione di questa innovazione, in una scuola che fa molta fatica a rispettare i livelli essenziali posti a garanzia del diritto allo studio; ma non dispero, perché in questi primi mesi ho già visto curricoli eccellenti accanto a conferme tout court di precedenti esperienze. A mio parere occorre molta formazione perché il nuovo modello di educazione civica, voluto dalla legge, diventi pratica didattica ordinaria.
Quali sono, a suo avviso, le condizioni perché il nuovo insegnamento di educazione civica sia una reale occasione per sfidare l’individualismo dominante e non finisca, come spesso è capitato, all’ultimo posto della lunga fila di problemi che la scuola oggi deve affrontare?
La condizione a mio parere dominante è che i docenti siano i primi testimoni dei saperi e dei valori che vogliono trasmettere ai loro studenti. Questo avverrà se riusciremo a convincerli che potrebbero davvero contribuire a ricostruire sulle macerie di un mondo che muore, una società con valori nuovi, più giusta e solidale, in grado di riconoscere e apprezzare il valore educativo e sociale del loro lavoro.
Come è possibile che un insegnamento sia capace di educare gli alunni alla vita sociale e non solo di trasmettere loro contenuti, sia pure di grande rilievo valoriale, come indicano le tre linee direttrici dell’educazione civica?
“L’unico modo efficace per unire le parti di un sistema tra loro è quello di unire ciascuna di esse alla vita”: lo diceva Dewey un secolo fa, ma come principio è ancora valido. Non basta l’interconnessione fra le discipline, occorre poi confrontare le conoscenze apprese con esperienze di vita reale, far entrare la vita nella scuola, perché la scuola diventi un luogo di vita autentica e non solo di “preparazione alla vita”.
(Andrea Caspani)