Quando il 14 settembre riapriranno le scuole, saranno passati oltre sei mesi dalla chiusura. Nel frattempo il ministero dell’Istruzione ha dovuto fronteggiare una serie di difficoltà crescenti a cui ha risposto, secondo molti commentatori, con ritardi e affanno. La scarsa connettività delle scuole, il gap informatico delle famiglie, il tema della valutazione di un anno diviso tra didattica ordinaria e a distanza, la maturità in presenza e il tema delle strutture scolastiche ridotto al solo acquisto di nuovi banchi, sono solo alcuni dei temi che hanno infiammato il dibattito pubblico.
C’è tuttavia un problema che sembra non avere soluzione e che sembra aggravare il tema della riapertura. A venti giorni dall’inizio dell’anno scolastico le strutture periferiche del ministero (uffici scolastici regionali e provinciali), assieme alle segreterie delle scuole sono impegnate a definire il numero dei docenti e delle classi da attivare. Il tutto avviene in base al Dpr 81/2009 e altri decreti, che regolano questo complicato meccanismo, iniziato a fine luglio. Proviamo a spiegarlo.
All’inizio il Miur ha assegnato alle regioni, in base ad alcuni parametri (ordini di scuole, disabilità, scuole montane, ecc.), la quantità di organico da suddividere successivamente in ogni singolo istituto. Le scuole a loro volta, tenendo conto degli iscritti e delle articolazioni interne, dividono i propri studenti per 27, il numero fatidico che permette di definire il numero di classi e assegna i docenti disponibili. A questo numero gli uffici sommano una certa quantità di insegnanti aggiuntivi, in modo che da 27 studenti per classe si passi a un numero inferiore. In questi giorni è aperta la fase della contrattazione, per cui i presidi chiedono, ad esempio, che invece di 3 terze ne vengano autorizzate 4, con i docenti necessari. In alcuni casi la quota aggiuntiva viene concessa e in altri no. Purtroppo la coperta è stretta, in quanto il budget numerico necessario è stato definito all’inizio del percorso e se da una parte si dà, dall’altra si toglie. Ora in epoca Covid accade che tante classi abbiano addirittura 28 e 29 studenti, cosa che in un anno ordinario non avrebbe fatto notizia, ma oggi mostra tutta la fragilità del sistema. Infatti succede che siano proprio le classi numerose a creare problemi, perché non permettono il distanziamento sociale e spesso non ci sono aule adatte a contenere tanti ragazzi. Le difficoltà maggiori si verificano alle superiori in quanto l’articolazione degli insegnamenti è maggiore rispetto all’infanzia e alla primaria.
Molti dirigenti di quasi tutte le regioni hanno protestato perché affermano che si è voluto affrontare l’emergenza con gli strumenti giuridici ordinari e le classi pollaio, che il ministro Azzolina ha sempre annunciato di volere cancellare, sono invece previste dal sistema normativo che regola l’istruzione italiana. Di fatto in sei mesi non si è trovato (o non si è voluto trovare) il tempo per modificare l’impianto giuridico, tanto che le classi numerose sono un prodotto organico del sistema scolastico. Nella formazione della classi sembra proprio che il Covid-19 non esista. Il Dpr 81/09 venne varato quando si voleva risparmiare sul personale docente e forse oggi non si è voluta superare l’assunzione di 200mila precari, quota necessaria quest’anno per far funzionare il sistema. È vero che verranno assunti altri insegnanti, definiti comunemente “docenti Covid”, ma questi ad anno già avviato con classi e docenti già definiti non potranno modificare l’impianto organizzativo e saranno utilizzati per il potenziamento o per le supplenze brevi. Saranno docenti specializzati in discipline di cui i dirigenti non hanno fatto richiesta, quindi non necessari all’impianto didattico. Inoltre la loro precarietà è acuita dal fatto che nel loro contratto è prevista la clausola del licenziamento in caso di lockdown.
Un dirigente toscano propone una soluzione per le classi numerose. In base all’autonomia scolastica (senza autorizzazione preventiva dell’Usr), si può aumentare il numero delle classi e ridurre di conseguenza il numero degli studenti grazie alla riduzione del tempo scuola. I docenti facendo meno ore nelle proprie sezioni possono essere utilizzati in altre per completare l’orario di servizio. È comunque un’ipotesi al ribasso, perché si punta ancora sulla riduzione dell’offerta formativa per favorire la sicurezza, senza aver progettato per tempo soluzioni strutturali, ma sempre sotto la spinta dell’emergenza. Per il ministero dell’istruzione il detto “chi ha tempo, non aspetti tempo”, pare abbia scarso valore.