A me, che Emilia Vergani la conosco solo indirettamente attraverso l’opera che da lei è nata, ha fatto un gran bene imbattermi nel volume pubblicato da Itaca nel dicembre 2020, a vent’anni dalla sua scomparsa: Emilia Vergani. Saggia e ardente. A me, che conosco In-presa (l’opera che da lei è nata) grazie all’offerta formativa che propone e ai racconti di chi vi partecipa, addentrarmi in ciò che l’ha generata è stata una grande occasione per riflettere sul lavoro che svolgo quotidianamente con le classi in cui insegno.



In-presa accoglie oggi ragazzi in situazione di disagio e a rischio di dispersione scolastica, si occupa di formazione professionale, offre l’accompagnamento al lavoro e un aiuto allo studio (mattutino e pomeridiano) rivolto ai ragazzi delle medie, con lo scopo di riavvicinarli al mondo della scuola. Nel percorso che In-presa propone a questi ragazzi, le attività sono strutturate con lo scopo di accompagnarli a riscoprire il proprio valore, facendo riaffiorare i talenti e le risorse che nella loro esperienza scolastica hanno faticato a cogliere e sfruttare, arrivando ad una forte forma di demotivazione, ritiro, opposizione, allontanamento o abbandono.



Non tutti gli alunni che frequentano le scuole italiane e che si trovano situazioni difficili e delicate hanno la possibilità di partecipare all’esperienza di In-presa o a quella che viene proposta in cooperative e associazioni con la stessa finalità. Ma intravedere anche solo qualche squarcio della vita di chi ha generato “un’impresa” del genere ha fatto riemergere in me il desiderio che tutti gli alunni delle scuole italiane possano incontrare sul proprio cammino adulti che abbiano il cuore di Emilia e che, come lei, si mettano in gioco in prima persona, disposti a compiere, in prima persona, un cammino.



Penso che ciò da cui In-presa è nata indichi una strada importante, utile e percorribile da tutti gli educatori e gli insegnanti che entrano in rapporto con i loro studenti, che continuamente li sfidano e che per natura (al di là delle condizioni di disagio o meno in cui si trovano) continuano ad interrogarli con la loro vita, in presenza nelle aule scolastiche o attraverso i dispositivi informatici con cui si svolgono ora le lezioni a distanza. Se infatti i frutti di quello che è In-presa si vedono dai volti entusiasti dei ragazzi e delle ragazze che la frequentano, il cuore dell’esperienza di In-presa è testimoniato dalla vita di Emilia, che emerge nei pannelli della mostra a lei dedicata, nelle testimonianze degli amici, nei suoi appunti e nelle lettere raccolte nel libro.

Non erano adolescenti e preadolescenti “facili”, quelli con cui Emilia ha avuto a che fare. “Quando abbiamo iniziato questa esperienza, la sfida era mettere in opera un metodo educativo che rendesse possibile il recupero di questi ragazzi, dove per educazione s’intende che per ognuno di loro – a qualsiasi punto di capacità affettiva e di rapporto con la realtà si trovi – sia reso possibile fare un passo avanti rispetto alla sua maturazione”: è così che la Vergani racconta l’origine di In-presa, nell’apertura della sua relazione ad un convegno sul disagio giovanile organizzato a San Marino nell’aprile del 2000.

Non tutti siamo chiamati a lavorare in strutture come quelle di In-presa né a fare ciò che Emilia ha fatto, ma il lavoro affascinante di ogni insegnante è quello di mettere in moto la libertà dei suoi alunni perché possano diventare sé stessi e realizzarsi, attraverso l’incontro con le discipline e l’offerta di una presenza che non si scandalizzi delle problematiche e delle domande che più o meno esplicitamente – anche con il loro comportamento – gli studenti pongono costantemente agli adulti di riferimento. Nella Vergani (e questo lo si percepisce decisamente tra le righe dei suoi scritti) la posizione di apertura e lo sguardo verso le cose nasce da una sovrabbondanza di vita sperimentata nella famiglia, nelle amicizie, nell’incontro con Comunione e Liberazione, nel lavoro che ha svolto: una sovrabbondanza che l’ha condotta ad accogliere e ad abbracciare le situazioni in cui si imbatteva.

“Quei ragazzi […] meritano di più. C’è da fargli provare di più della bellezza della vita” dice ancora nello stralcio di un suo scritto, e penso che questo valga per qualunque studente incontriamo anche noi oggi. Emilia testimonia che ogni docente, nelle condizioni in cui si trova (anche in quelle dettate ora dalla pandemia), può tentare ogni strada affinché gli alunni con cui lavora possano essere mossi e agganciati da una proposta che si riveli significativa, continuamente reinventando modalità e strategie con l’inarrestabile fantasia creativa che sorge dalla consapevolezza di ciò che fa cambiare nella vita. “Non si possono vincere adagio adagio i propri difetti con la volontà” (afferma la Vergani in un appunto) ma con uno sguardo di amore reale ricevuto e ridonato. È questa consapevolezza che può far accogliere l’altro anche nei sui sbagli, generando una nettezza di giudizio che assume su di sé in maniera totale e senza sconti il rischio della risposta dei ragazzi, l’attesa della loro  mossa e rende allo stesso tempo liberi dall’esito.

Tra gli altri, c’è un ulteriore suggerimento che la vita di Emilia consegna al mondo della scuola: la sua continua ricerca di rapporti, confronto, aiuto, conferma che fattore di crescita personale e condizione necessaria per far diventare grandi è partecipare ad una comunità educante che – insieme – può portare e accompagnare anche le situazioni più difficili.

Quando ho iniziato ad insegnare non avrei mai immaginato di dovermi trovare – come oggi – a fare lezione online, ad intraprendere una didattica mista un po’ in presenza e un po’ a distanza, con tutte le sue fatiche, le sue difficoltà e anche le sue sorprese; è la strada però che oggi mi trovo a percorrere e il libretto che mi ha fatto incontrare Emilia mi invita ad entrare nel profondo di quello che compio, non per fare quello che lei ha fatto, ma per tentativamente e desiderabilmente prendermi cura di me e di ciò che mi è chiesto come ha fatto lei.

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