Dal 17 al 19 ottobre si è tenuta a Roma la nona edizione dell’annuale seminario in cui Invalsi presenta ricerche sui dati relativi alle sue prove nazionali, oltre ad altri contributi attinenti ai temi di interesse collegati. Il seminario è stato promosso congiuntamente ad Invalsi anche da Istat, Espanet, Banca d’Italia e ha visto la partecipazione di ricercatori di centri di ricerca nazionali ed internazionali e di ricercatori di università italiane e straniere. Di fatto si è oramai consolidato come il principale appuntamento annuale di respiro nazionale ed internazionale per l’Italia che presenta ricerche e confronti sul tema della scuola, basati sui dati. Il seminario di Scuola Democratica che si tiene ormai biennalmente a giugno a Cagliari è caratterizzato maggiormente da un taglio pedagogico e didattico, oltre che da un’ispirazione qualitativa tendenzialmente critica – nel passato anche ostile – alle impostazioni quantitative delle valutazioni standardizzate nazionali ed internazionali.



Uno degli aspetti costanti e importanti del seminario è sempre stata la presenza non solo di ricerche, ma anche di relazioni e di interventi importanti e istituzionali a livello internazionale. Quest’anno era in rilievo il rapporto UE su The twin challenge of equity and excellence in basic skills in the EU: si tratta del primo rapporto ufficiale europeo sui dati PISA 2022 dei Paesi dell’Unione. Marco Montanari ha presentato i risultati dei quindicenni di tutte le nazioni europee (che partecipano a PISA fin dall’inizio) in Lettura, Matematica e Scienze, comparandoli con quelli dei Paesi paragonabili per assetto economico sociale sia occidentali (USA, Canada) che asiatici (Giappone, Corea del Sud, Singapore etc).



Le conclusioni stanno già nel titolo. L’Europa deve affrontare una sfida sia in termini di equità, per quanto riguarda i livelli bassi di apprendimento, che in termini di eccellenza per quanto riguarda i risultati di alto livello. Perché dal paragone esce male, anche se naturalmente con significative differenziazioni al suo interno: Il 30% degli studenti UE ottiene risultati sotto il livello considerato di accettabilità in Matematica ed il 25% in Lettura e Scienze, la metà degli studenti provenienti da famiglie di ESCS (livello economico-sociale) basso ottiene risultati di questo tipo in Matematica, meno di uno su dieci è top performer (ottiene risultati buoni o eccellenti) in almeno uno dei tre campi indagati.



In coerenza con il tema, una tavola rotonda ha visto confrontarsi esperti di diversi Paesi su come usare i dati delle valutazioni standardizzate a livello internazionale. Uno degli obiettivi di Invalsi – come dei simili centri di indagine e ricerca delle diverse nazioni – è infatti quello di orientare o comunque dare suggerimenti per le scelte di politica educativa.  Sfida difficile e fin qui poco riuscita anche a livello internazionale, come analizzato in apertura da Aline Pennisi (Unità di Missione New Generation UE-MEF), poiché i tempi e i temi cruciali di politica e ricerca divergono spesso. Per la situazione italiana sembra che una scelta importante sia quella, da parte della responsabile scuola del PNRR, di lavorare con gli insegnanti sui dati individuali, per creare “un buon rapporto fra ricerca e politica e per rendere gli investimenti fruttuosi… I focus della ricerca devono essere i più rilevanti per la politica e non per l’accademia ed accompagnare le riforme su argomenti come i meccanismi di incentivazione dei docenti, la mobilità o assicurare strategie di valutazione che includano la possibilità di ripetizione in altri contesti…”. Strumenti fondamentali: una adeguata formazione delle scuole per la lettura dei risultati (che non va data assolutamente per scontata) e soprattutto una gestione centralizzata e valutata delle attività di innovazione e recupero previste, con incentivi e modalità di verifica. Non a caso nel programma del seminario è stata prevista la presentazione della nuova piattaforma di restituzione dati alle scuole.

Sempre sul rapporto con le scuole, una sessione è stata dedicata a un bilancio delle ultime fasi del Sistema nazionale di valutazione (SNV). Il cui futuro sembra incerto, un po’ per problemi di finanziamento ed organizzativi (la cronica mancanza di ispettori, componenti obbligate dei Nuclei esterni di valutazione), un po’ per l’interesse latitante dei decisori politici, ma un po’ anche per la scarsa incisività sulla opinione pubblica, che non vi riconosce ancora uno strumento di valutazione e di orientamento a proposito delle scuole dei figli. “Scuola in chiaro” (che peraltro non prevede l’obbligo per le scuole di esporre i dati dei risultati Invalsi) sembra molto meno conosciuta di Eduscopio della Fondazione Agnelli, che orienta soprattutto nella scelta delle scuole superiori.

Un’intera plenaria è stata dedicata alla Intelligenza Artificiale ed in particolare alle legislazioni di controllo in corso di definizione nei diversi Paesi, a partire da quella europea. Ha particolarmente colpito un video sulle sue applicazioni in corso di sperimentazione in Cina: bambini dotati di una fascia elettronica in fronte che segnala la loro maggiore o minore concentrazione sul compito, con successiva creazione di un grafico a disposizione dell’insegnante. Nel dibattito successivo si sono viste posizioni diversificate: c’è chi teme che l’uso di strumenti così potenti condizioni ed amplifichi, fra l’altro, modi di pensare stereotipati in senso negativo (come quelli sulle donne). E chi invece, come il presidente Invalsi Roberto Ricci, ritiene da un lato che lo sviluppo (positivo) della tecnica sia inarrestabile perché porta benefici oggettivi e dall’altro che, per l’uomo, liberarsi dell’aspetto ripetitivo del suo lavoro consenta una maggiore focalizzazione sulle attività più creative.

Esplorare nuovi campi, dunque, e non autoemarginarsi nel culto infruttuoso del passato. Nel corso del seminario si è anche svolta la presentazione del suo libro Le competenze digitali nella scuola. Un ponte fra passato e futuro (Il Mulino, 2024) che nasce anche dal timore che nell’immediato futuro la disequità si realizzi sempre più sul terreno delle competenze informatiche. Sulle quali sorge il dubbio che sarebbe magari necessaria una maggiore vigilanza, forse anche attraverso un ampliamento delle valutazioni standardizzate.

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